Andrea Zhok

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Antropologia / Filosofia / Politica
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Notizie e analisi sull'attualità e la geopolitica.

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3 months, 1 week ago

Ma ecco giungere le voci di quelli cui, a fronte di simili riflessioni, scatta la molla dell’accusa di “complottismo”: “Siete brutte persone, che dimostrano la bassezza del proprio animo indulgendo in teorie del complotto.”

Questi soggetti inclini a non vedere mai complotti e sempre complottisti, sembrano vivere una curiosa compartimentazione mentale, una “sindrome di Pollyanna” dalle ricadute purtroppo tragiche per la vita pubblica.

Se direttamente interrogati tutti questi soggetti non hanno alcuna difficoltà a concedere l’abiezione morale del mondo odierno, il prevalere di interessi politici ed economici inconfessabili, il cinismo prevalente nelle classi dirigenti, ecc. Questi guardano “Wall Street” mangiando i pop corn e “approvano la denuncia sociale”.

Solo che quando si ritrovano a giudicare situazioni nel mondo reale, dove:
a) esiste la capacità tecnica e pratica di fare X (una brutta cosa);
b) esiste un forte interesse (economico e/o politico) a fare X;
qui di colpo, la POSSIBILITÀ che X venga fatto diviene immediatamente un’inammissibile concessione alle teorie del complotto.

E così chi sospetta il male diviene lui stesso, ai loro occhi, il male. Perché li distoglie dalla propria bolla letargica faticosamente cucita.

3 months, 1 week ago

Ieri l’Organizzazione Mondiale della Sanità per bocca del suo direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato lo stato di emergenza internazionale in seguito all’aumento dei casi di vaiolo delle scimmie (Mpox). Al momento il contagio pare limitato ad alcuni paesi dell’Africa Centrale. Si tratta di aree dove il virus, isolato per la prima volta nel 1958, risulta endemico. Rispetto all’allarme lanciato già due anni fa dall’OMS, le attuali varianti appaiono più virulente e con una letalità maggiore (se dobbiamo dar retta alle informazioni circolanti, la letalità dell’epidemia del 2022 era del 0,2%, quella attuale intorno al 5%).

Scottati dai trascorsi del coronavirus e dalla notoria presenza di conflitti di interesse nell’OMS, la dichiarazione di emergenza sta attraendo comprensibile attenzione e suscitando altrettanto comprensibile inquietudine. Tuttavia, essendo il virus Mpox trasmissibile solo per contatto diretto di fluidi corporei, la sua capacità diffusiva appare incomparabilmente inferiore a quella di virus trasmissibili per via aerea.

Dunque non sembrerebbe prestarsi per operazioni internazionali di massa come quelle avvenute nel 2020-2021 per il Covid.

Detto questo, l’inquietudine e il sospetto rispetto ad ogni presa di posizione dell’OMS sono oggi reazioni sane, direi doverose.

Il problema di fondo, profilatosi con chiarezza negli ultimi anni, è che l’ambito sanitario rappresenta uno dei punti più deboli nelle già traballanti difese delle odierne democrazie. Ciò è dovuto alla convergenza di quattro fattori.

Il primo è che oggi le capacità bioingegneristiche disponibili a grandi gruppi farmaceutici privati sono tali da consentire manipolazioni mirate dei patogeni: la ricerca per cure preventive e la ricerca per la produzione di varianti artificiali dei patogeni possono essere indistinguibili.

Il secondo è che questo tipo di ricerca privata non ricade soltanto nell’ambito dell’ordinaria ricerca di profitto, ma rientra nell’interesse del comparto militare (armi biologiche) e dunque di alcuni settori statali, con agende eminentemente legate alla politica estera.

Il terzo è che il livello di competenza necessario per comprendere anche solo la cornice generale del funzionamento di patologie legate e virus e batteri richiede un livello culturale e una vigilanza mentale che, assai ottimisticamente, stimerei intorno al 5% della popolazione. In altri termini, si tratta di ambiti dove la reazione normale dei più è di “affidarsi agli esperti”, anche se l’esperto di turno è a libro paga della politica (laddove mai e poi mai si fiderebbero della politica per via diretta).

Il quarto è che l’ambito epidemico è uno dei pochi dove, strutturalmente, i poteri dello stato, anche negli ordinamenti democratici, vengono legittimati a sospendere o aggirare diritti individuali, nel nome del “bene comune”. (E stendo qui un velo sulle oscene manipolazioni della verità cui abbiamo assistito in epoca Covid per giustificare coazioni apparentemente nel nome del “bene comune”.)

Questi fattori rendono l’ambito epidemico-patologico un ambito politicamente strategico perché si trova all’incrocio di interessi potenti e spesso inconfessabili, di leve giustificative che autorizzano l’autoritarismo emergenziale, e di una opacità di fondo che rende i poteri coinvolti sostanzialmente irrefutabili (e impuniti).

Qui possiamo trovare un intero spettro di possibili abusi sulla pelle di popolazioni ignare. È legittimo sospettare la diffusione artificiale di patogeni al solo scopo di creare un mercato per le cure (interessi privati). È legittimo sospettare l’utilizzo mirato di patogeni per destabilizzare aree strategiche (interessi di politica internazionale). È legittimo sospettare l’utilizzo di dichiarazioni d’emergenza sanitaria per introdurre controlli e restrizioni di varia natura, o per autorizzare voci di spesa straordinarie (interessi di politica interna). E molto altro ancora.

3 months, 1 week ago

L'AGENDA DEL PESCE ROSSO ???
Alimenta da ieri la discussione sui vaccini covid la dichiarazione di AIFA secondo cui nessuno di questi prodotti è indicato per prevenire la trasmissione del contagio. Ora, la questione in sé è quanto meno risibile: che la capacità dei vaccini covid di evitare o comunque ridurre la trasmissione del virus non fosse mai stata documentata e riconosciuta dagli enti regolatori era noto fin dalla fine del 2020, quando fu autorizzato il prodotto Pfizer. Bastava e ancora oggi basta leggere il "bugiardino" (rectius: "riassunto delle caratteristiche del prodotto") per constatare come da nessuna parte si parli di possibile riduzione della trasmissione virale come effetto del vaccino. Né sarebbe stato necessario attendere la dichiarazione della dipendente Pfizer di fronte al Parlamento Europeo, la quale fece presente che gli effetti del vaccino sulla trasmissione non erano mai stati testati. E non lo erano stati poiché semplicemente nessuno aveva chiesto ai produttori di testarli, accontentandosi invece di far loro documentare la mera capacità di ridurre il rischio di covid (di qualsiasi gravità, nemmeno il covid grave) e soltanto per qualche settimana. Ma tutto questo e tanto altro lo sappiamo da dicembre 2020. O, meglio, lo sapremmo se nella pubblica discussione esistesse un confronto paritario nel quale gli interlocutori avessero entrambi la capacità di tenere il punto. Al contrario, purtroppo, esiste una parte il cui potere è preponderante che detta quotidianamente l'agenda all'altra, inserendo e cancellando temi a piacere. E nulla: non è certo colpa dei più deboli se sono deboli e soccombono ai più forti. Ma certo la sensazione troppe volte è quella di essere continuamente costretti a riscoprire l'acqua calda e a spingere massi su per un pendio solo per vederli rotolare nuovamente giù. Ma almeno converrebbe evitare di sembrare quei pesci rossi che hanno memorie che durano pochi secondi. Anche perché i pesci rossi, quelli veri, la memoria ce l'hanno eccome, e dura settimane e mesi se non addirittura anni. Sarebbe nel suo piccolo un buon punto di partenza.

5 months, 3 weeks ago

La ragione per cui un attacco al sistema di rilevazione delle minacce nucleari strategiche è equiparato, nella rosa delle risposte possibili, ad un attacco nucleare è che una volta accecato il sistema radar in un’area, questa diviene vulnerabile ad attacchi nucleari incapacitanti (la dottrina del Preemptive Strike” è studiata dagli anni ’70), cioè attacchi che paralizzano la capacità di risposta nucleare del paese colpito.

Ora, di fronte ad un punto cieco, ad una riduzione significativa della capacità di rilevare minacce missilistiche a lungo raggio e la loro natura, l’eventualità che un attacco convenzionale venga interpretato come un “Preemptive Strike” crescono esponenzialmente. Il nemico forte può dosare con precisione le sue risposte, il nemico indebolito può perdere questa capacità e predisporsi ad una risposta allo scenario peggiore.

A tutto ciò si deve aggiungere un’altra ambiguità creata dalle definizioni correnti intorno alla natura delle armi utilizzabili. Le cosiddette “armi nucleari tattiche” sono considerate parte dell’arsenale ordinario e dunque, formalmente, un loro utilizzo non significherebbe l’avvio di una “guerra nucleare”. Ma di fatto non è possibile valutare precisamente, tantomeno nei tempi rapidi di decisione che si affaccerebbero, se un’arma nucleare sia da considerare tattica o strategica, se il suo potenziale è da considerarsi “limitato” o meno. Questa situazione crea un pericolosissimo “scivolo” che può condurre dal timore per un attacco strategico ad una risposta nucleare tattica a titolo di deterrenza, innescando in breve un conflitto illimitato, anche se nessuno lo vuole.

5 months, 3 weeks ago

LA LOGICA DELL'ESCALATION

C’è una notizia, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, che è stata sostanzialmente trascurata nel dibattito pubblico degli ultimi giorni. Il 24 maggio missili di provenienza ignota hanno colpito il sistema radar russo Voronezh, presso Armavir, nella regione di Krasnodar, tra Mar Nero e Mar Caspio.

Si tratta di uno dei dieci radar ad alta frequenza che hanno la specifica funzione di indentificare attacchi nucleari strategici a lunga distanza.

Sono impianti colossali, estremamente sensibili ed estremamente costosi, e fanno parte dell’apparato russo per la deterrenza nucleare.

Secondo il documento emanato nel giugno del 2020 (riprendo il riferimento da un ottimo articolo di Clara Statello) dal titolo “Principi fondamentali di politica statale della Federazione russa sulla deterrenza nucleare” (riferimento nei commenti) la Russia definisce in modo molto chiaro le condizioni sotto cui una risposta nucleare strategica può essere possibile; all’articolo 19 troviamo scritto:

“Le condizioni che specificano la possibilità dell'uso di armi nucleari da parte della Federazione Russa sono le seguenti:

a) arrivo di dati attendibili sul lancio di missili balistici contro il territorio della Federazione Russa e/o dei suoi alleati;

b) utilizzo di armi nucleari o altri tipi di armi di distruzione di massa da parte di un avversario contro la Federazione Russa e/o i suoi alleati;

c) ATTACCO DA PARTE DELL'AVVERSARIO CONTRO SITI GOVERNATIVI O MILITARI CRITICI DELLA FEDERAZIONE RUSSA, LA CUI INTERRUZIONE COMPROMETTEREBBE LE AZIONI DI RISPOSTA DELLE FORZE NUCLEARI;

d) aggressione contro la Federazione Russa con l'uso di armi convenzionali quando è in pericolo l'esistenza stessa dello Stato.”

Il comma c) corrisponde precisamente a quanto appena avvenuto, cioè all’attacco al radar di Armavir.

È importante comprendere che tale attacco non dovrebbe avere alcun significato militare per il conflitto russo-ucraino, quantomeno non SE esso dovesse svolgersi davvero con scambi limitati ai territori russo e ucraino. Il territorio ucraino è ampiamente sorvegliato da altri sistemi a corto raggio. Potrebbe avere invece qualche rilevanza se ci fosse un attacco alla Crimea con missili a lunga gittata da paesi Nato, perché un danno del genere limita la precocità di rilevamento del sistema difensivo russo nell’area meridionale della federazione (quella in cui, per inciso, sono stazionati i sommergibili nucleari americani).

Ora, ciò che a mio avviso merita qualche riflessione è la Logica dell’Escalation.

È chiaro, ed è stato pubblicamente esplicitato dall’ex capo dell’Agenzia spaziale russa Roscosmos, che un attacco del genere può essere stato effettuato soltanto con i più avanzati sistemi di puntamento e missilistici della Nato.

La vera domanda ora è: qual è il significato di un simile attacco?

Temo che la risposta sia tanto semplice quanto preoccupante. La dirigenza Nato sa ovviamente di aver superato una linea rossa esplicitamente definita come potenziale causa di una risposta nucleare. Sa anche che, nonostante la pubblicistica sulla pazzia di Putin, il presidente russo è estremamente equilibrato e razionale, e che non vuole affatto avviare un conflitto nucleare da cui tutti – Russia inclusa - uscirebbero gravemente danneggiati, se non estinti.

Il calcolo Nato è perciò probabilmente esprimibile nei seguenti termini:
“Noi superiamo una linea rossa e mostriamo di sapere che l’avversario non risponderà in forma nucleare; così facendo dimostriamo l’illusorietà delle sue minacce di deterrenza nucleare e ne miniamo la credibilità. Inoltre lo spingiamo a qualche ‘fallo di reazione’ sull’Ucraina, che può screditarlo ulteriormente.”

Questo calcolo potrebbe essere corretto.

Tuttavia qui siamo di fronte ad un gioco sottile e pericolosissimo di aspettative reciproche.

5 months, 4 weeks ago
8 months, 1 week ago

A spoglio concluso le elezioni presidenziali in Russia hanno dato il seguente esito.

Ha vinto con l'87% dei voti Vladimir Putin.

L'affluenza alle urne è stata la più alta dal 1991, pari al 74,2%.

Alle spalle di Putin (si fa per dire) è il Partito Comunista con Kharitonov (3,9%). Dunque le forze dichiaratamente avverse al modello liberale rappresentano circa il 91% delle preferenze.

Questo mentre i nostri eroi della liberaldemocrazia viaggiano intorno al 30% di gradimento interno (così Biden, così Macron, così Scholz, così Sunak).

Ecco adesso non guardo neppure i giornali, perché le reazioni di questi personaggi è prevedibile quanto un riflesso patellare:
"Ma la Russia non è una vera democrazia! La gente va a votare con un Kalashnikov puntato alla schiena! I media condizionano l'opinione pubblica! Non riconosciamo i risultati, ecc."

Che in traduzione simultanea geopoliticamente avvertita suona:
"Allora non gioco più e ti buco il pallone, ecco!"

Ma la verità è semplice, sinanche banale.
Putin ha dimostrato di riuscire a fare in modo intelligente, spregiudicato ma equilibrato, l'interesse del proprio popolo, trasformando quella che era considerata, secondo le parole del sen. MacCain, un "distributore di carburante travestito da stato" ("A gas station masquerading as a country") in una nazione capace di futuro.

Di contro la classe politica più fallimentare della storia occidentale, gente che ha come orizzonte politico la trimestrale di cassa, che riciccia da mezzo secolo le stesse tre ideuzze putrefatte, che è disposta a vendere qualunque parente di qualunque grado, nonché sé medesimi, a prezzi di mercato, che tiene a catena cortissima la quasi totalità dei media occidentali, che è abituata a darsi incestuosamente ragione l'un l'altro in inconsapevole consanguineità politica, questa gente ha condotto i propri popoli sugli scogli. E continua a farlo, decomponendo giorno dopo giorno quel poco che resta in piedi.

Ma quegli stessi popoli, per quanto sprovveduti e fuorviati, oramai lo hanno capito, o almeno intuito.

Dunque le nostre classi politiche possono pure continuare a imbastire fieri cipigli, ad agitarsi, a sbambare di libertà e democrazia, a scambiarsi l'uno l'altro medaglie e benemerenze, ma il verdetto storico è già arrivato. Verranno ricordati come coloro i quali con la loro corruzione, arroganza, presunzione e insipienza hanno decretato, finalmente, il tante volte evocato "tramonto dell'Occidente".

Resterà alla prossima generazione, se riuscirà a farsi spazio, di ricostruire una speranza su queste macerie, ritessendo rapporti con il resto del mondo, di cui siamo solo una piccola parte.

8 months, 4 weeks ago

Giorgia Meloni a nome dello stato italiano ha firmato un accordo bilaterale di cooperazione per la Sicurezza con il presidente ucraino Zelenski.

L'accordo ha validità decennale (10 anni).

L'accordo impone all'Italia di intervenire in sostegno di Kiev entro 24 ore in caso di nuovo attacco di Mosca e di continuare a fornire aiuti economici e militari al governo ucraino.

L'Italia si impegna inoltre a favorire l'ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato.

Si prospetta poi la possibilità di addestrare l'esercito ucraino e di condurre esercitazioni da parte dell’esercito italiano anche in territorio ucraino.

In sostanza, non paga di aver bruciato ottimi rapporti pluridecennali con la Russia, di aver buttato un numero indefinito di miliardi (i numeri sono secretati) nel sostegno bellico all'Ucraina, di aver contribuito ad un'esplosione dei prezzi dell'energia che ha impoverito il paese e proseguito nell'attività di deindustrializzazione, ora Giorgia Meloni vuole lasciare il suo segno nella storia legando l'Italia sempre più strettamente ad un paese che sta colando a picco, militarmente ed economicamente, esponendola in maniera crescente sul piano bellico.

Infatti un articolo come quello che impegna l'Italia ad un'immediata risposta di sostegno in caso di "nuovo attacco russo" o è una buffonata pour parler (e allora è una vergogna) o è un impegno che simula l'articolo 5 dell'Alleanza Atlantica, e allora è un suicidio.

Inoltre l'idea di inviare "istruttori italiani" ad addestrare l'esercito ucraino sarebbe ridicola (l'esperienza bellica degli ucraini oramai si mangia a colazione quella italiana), se non fosse un modo informale di inviare truppe operative. Ricordiamo che nella guerra del Vietnam per molti anni gli USA ufficialmente avevano sul territorio soltanto "istruttori e consiglieri militari" (decine di migliaia), con il compito ufficiale di addestrare le forze anticomuniste locali. Ed è tecnicamente impossibile distinguere tra un militare ordinario e un militare con compiti di "istruire e consigliare".

L'idea poi di sostenere l'ingresso dell'Ucraina nella Nato, per quanto non nuova, riapre la ferita di ciò che sin dall'inizio è stato il casus belli con la Russia, che dopo aver visto una continua espansione a est della Nato aveva posto un veto reiterato al passo fatale dell'ingresso ucraino in un'alleanza militare ostile (l'Ucraina ha il più ampio e permeabile del confini, quello da cui nella storia sono venute le maggiori minacce all'esistenza dello stato russo.)

Tutta l'operazione è condita dalla solita pioggia di denari pubblici a perdere, che rientreranno soltanto in parte in commesse all'industria bellica nazionale.
In sostanza, una volta di più, Giorgia Meloni sta contribuendo (come molti prima di lei, va detto) ad un trasferimento diretto di risorse pubbliche da scuole e ospedali italiani, per cui la coperta è sempre cortissima, alla solita banda di oligarchi amici degli amici. E questo coinvolgendo tutti gli italiani in un ruolo di nemici di una grande potenza nucleare.

Ecco, scriviamo questo in attesa di vedere se la "lista di putiniani in Italia" che Zelensky ha promesso di dare alla premier italiana per sanzionarli sia già arrivata a destinazione.
Già perché, per chi se lo fosse dimenticato, tutto questo sfacelo nazionale è fatto nel nome della libertà e della democrazia.
Che ci facciamo insegnare da chi rivendica orgogliosamente il retaggio delle SS Galizien.

10 months, 1 week ago

A lettura conclusa il volume di C. dà l’impressione di essere un lavoro nato per affrontare un nodo particolare del panorama politico (la dicotomia Dx/Sx) e ritrovatosi, per lo sviluppo interno dei problemi, a trattare di temi speculativamente cruciali. A tratti il testo sembra ancorarsi in questioni particolari di politica italiana, per poi portare d’un tratto il lettore di fronte a temi globali e di rilievo storico. Il testo riesce in effetti a togliere la quotidianità spesso abbrutente della politica dalla sua dimensione spicciola, mostrandone il carattere decisivo ed epocale. I temi della storia, dell’identità, della tradizione, dell’intersoggettività, del contrasto tra sustruzione teorica e mondo-della-vita si intersecano nel testo dando un respiro filosofico inusitato per un’analisi politica. Naturalmente questa collocazione di mediazione tra la sfera dell’attualità (o semi-attualità) politica e la sfera dell’approfondimento speculativo espone il testo a un doppio rischio, da un lato di risultare speculativamente sottoargomentato in alcuni passaggi di particolare peso e dall’altro di risultare in altri passaggi di non semplice fruizione per il lettore filosoficamente ignaro. Ma questo è un destino inevitabile a chiunque cerchi di mediare tra livelli che, purtroppo, mai nel dibattito pubblico vengono fatti interagire.

10 months, 1 week ago

La chiusa del quinto capitolo presenta le fondamentali tesi positive del testo, tesi che hanno a che fare essenzialmente con il tema dell’identità collettiva (politica, culturale, storica, sociale). L’atto di nascita della ragione liberale fu il rigetto strutturale delle guerre di religione. In quell’atto inaugurale ogni identità collettiva sostanziale venne respinta come pericolo, come potenziale latore di un conflitto. Nel testo si mostra come in forme diverse Destra e Sinistra ereditino quell’impianto, operando per una distruzione di ogni identità, in maniera più esplicita l’universalismo progressista della sinistra, in maniera dissimulata la destra, che fa dell’identità un vuoto mito retrò, una tradizione morta liberamente strumentalizzabile. La direzione in cui si muove l’analisi è invece quella di una rivalutazione dell’identità e perciò della differenza. Questa polarità non è infatti in alcun modo contraddittoria sul piano storico e collettivo. L’identità è relazione e apertura all’altri, il dialogo esiste solo tra identità. Quest’idea portante si dispiega all’interno di ciascun corpo politico sul piano della storia e della tradizione, e si esplica nei rapporti tra corpi politici diversi come rispetto e attenzione alle identità altre. L’affacciarsi odierno della prospettiva multipolare è visto da C. come un primo autentico ingresso nella “storia universale”, l’hegeliana Weltgeschichte, che non è la storia occidentale: “Ogni cultura si appropria della modernizzazione e della tecnica innestandola nella propria tradizione”. (144)

Secondo C. questo non significa affatto disdegnare i pregi della grande tradizione europea, ma al contrario recuperarne un elemento caratterizzante sin dal socratico “sapere di non sapere”: il “pensare la storia come una molteplicità o pluralità di storie.” (149)

Nel sesto e ultimo capitolo (“Verso il futuro: categorie della politica dopo Destra e Sinistra”) l’autore si mette alla prova con una serie di dicotomie trasversali a quella di Dx/Sx in uno sforzo di ampliare lo sguardo teorico e di esercitarlo su prospettive politiche non stantie. Tra le varie opposizioni dicotomiche che vengono prese in considerazione la prima, tra differenze e indifferenziato, è però forse quella che meglio riassume il senso complessivo del volume:

“Forse il grande scontro epocale verso cui ci avviamo non è tra Destra e Sinistra, ma uno scontro quasi antropologico tra chi è radicato in una storia, e cerca di attualizzarla, rinnovarla – perché riprendere e lasciare le consegne delle generazioni passate a quelle futura sono atti della libertà quanto il rifiutarle – e chi ha perso ogni radicamento, memoria, e ha in odio ogni cultura, ogni differenza, perché non avendo radici non le comprende. (…) Il conflitto che si sta aprendo è tra due tipi di esistenza, tra una cultura delle differenze e una cultura dell’indifferenziato. Una cultura delle identità, che proprio perché identità sono strutture di relazione e si costituiscono nella differenza, e una cultura dell’indifferenziato in cui non vi sono identità e dunque neanche differenze. L’identità non è infatti una chiusura, ma l’assunzione di una finitezza e di un’incompiutezza.” (153-154)

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