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Ci sono molti eventi storici su cui si è da tempo innestata una narrazione falsa, tossica, profondamente pericolosa. E a volte questa narrazione è così ampia da investire un evento di portata tanto grande che sembrerebbe impossibile rendere plausibile un’opera così profondamente mistificatoria. Iinvece questo è quello che accade ormai da tempo intorno alla Grande Guerra. La propaganda nazionalista e istituzionale continua a volerci far credere che milioni di italiani, mossi da un pervicace sentimento patriottico, si sarebbero precipitati a combattere sulle trincee poste a difesa (o meglio offesa) dei sacri confini.
Abbiamo così deciso di fornire alcune cifre (le fonti le trovate nel primo commento) che rendono bene l’idea non solo di cosa sia stata la guerra per gli italiani, ma anche la straordinaria vastità dei gesti di ribellione che i civili e i soldati del nostro Paese hanno messo in campo per opporsi o sfuggire all’inutile strage.
Intanto le cifre finali della guerra: 700.000 morti, 1 milione di feriti, di cui circa la metà invalidi permanenti, 40 miliardi di lire di allora spesi per il conflitto, ovvero la stragrande maggioranza della spesa pubblica (oltre il 70%). In un esercito composto per la metà da contadini (2,5 milioni di uomini delle campagne a cui vanno aggiunti operai, piccoli artigiani e minatori, studenti...) ci furono 400.000 soldati processati per insubordinazione e autolesionismo, 100.000 invece i processi per renitenza alla leva (senza contare le decine e decine di migliaia a carico degli emigrati). Ancora di più furono le denunce degli ufficiali verso i sottoposti, quasi 900.000. Tra i processati circa 170.000 vennero condannati, 16.000 all’ergastolo, e 750 almeno alla fucilazione (difficile stabilire quanti soldati vennero fucilati sul posto durante i combattimenti o le fughe). Seicentomila soldati italiani vennero fatti prigionieri e, anche grazie al comportamento del governo italiano che li trattò da codardi e impedì sostanzialmente l’invio di pacchi viveri tramite la Croce Rossa, 100.000 morirono durante la prigionia. Durante il periodo di comando del gen. Cadorna morivano circa 11.00 persone al giorno.
Intanto, nel fronte interno, centinaia di migliaia di italiani, di cui nessuno vuole ricordarsi, scendevano per le strade e per le piazze (le fonti parlano di centinaia di manifestazioni tra il 1914 e il 1917) per protestare contro l’ingresso in guerra dell’Italia. Contro di loro si scatenò la dura repressione di polizia e carabinieri.
Insomma già queste poche cifre ci raccontano una storia diversa da quella edulcorata e imbellettata che oggi sentiremo nei telegiornali, nelle piazze, nei comunicati di chi ancora a 100 anni di distanza vuole lucrare sulla pelle di nostri soldati mandati “a stendere le proprie carcasse sui reticolati nemici”.
Le riforme agrarie del secondo dopoguerra non ebbero un impatto profondo in Calabria, dove imperava una nobiltà latifondista che si è accaparrata - in maniera non sempre legale - le terre che dovevano essere in teoria redistribuite. Ben presto il malessere dei contadini, che lavoravano con ritmi disumani senza poi godere del frutto della loro fatica, portò ad una serie di proteste che sfociarono nell'occupazione delle terre.
Melissa, piccolo borgo poco a nord di Crotone, non faceva eccezione. La dieta di un melissese medio era costituita prevalentemente da fagioli, pane e minestra di fave. Ben presto i contadini si organizzarono ed occuparono un terreno nella località Fragalà. I baroni locali, i loro diretti dipendenti e i parlamentari calabresi della DC chiesero aiuto a Roma. Uno dei reparti della celere si stabilì presso la tenuta del barone Berlingeri, dov'era in corso l'occupazione. Era l'ottobre del 1949. Vi furono da subito da parte degli agenti molestie contro le donne e minacce contro gli uomini. I manifestanti, al contrario, continuarono ad occupare la terra senza alcuna violenza e si limitarono a coltivare quegli spazi che dovevano esser loro di diritto.
Il 29 ottobre la situazione degenerò: i rappresentanti locali della protesta, tra i quali il sindaco socialista ed il segretario del PCI, furono fermati dalle forze dell'ordine mentre i celerini arrivavano a Fragalà. I contadini inizialmente non si preoccuparono, mai avrebbero pensato ad atti violenti da parte della polizia. Si sbagliavano. Prima vi furono i lacrimogeni, poi venne aperto il fuoco e furono perfino lanciate delle bombe a mano. Caddero Francesco Nigro, Giovanni Zito ed Angelina Mauro, rispettivamente di 29, 15 e 23 anni, vi furono dozzine di feriti e di animali morti. Antonella si sarebbe dovuta sposare pochi giorni più tardi. Al massacro seguì un processo senza esito alcuno e la quasi completa rimozione da parte dell'opinione pubblica nazionale.
Non a Melissa, però, dove si ricorda puntualmente l'evento, non dimenticando i primi contadini calabresi caduti per mano della polizia nel dopoguerra. Nella foto, la manifestazione a Crotone in ricordo dei 25 anni della strage.
Il 28 ottobre la “Marcia su Roma” raggiungeva i suoi obiettivi.
Vittorio Emanuele III si rifiutava di dare il via allo stato d’assedio che Luigi Facta, presidente del Consiglio, gli aveva sottoposto, consegnando di fatto l’Italia in mano al fascismo.
Nei giorni precedenti quattro colonne di camicie nere si erano mosse alla volta della capitale, mentre gruppi più piccoli, in tutte le principali città, attaccavano i palazzi istituzionali e più o meno simbolicamente prendevano possesso delle regie prefetture.
Il 29 il re telegrafava al futuro duce che, invece di guidare la marcia, aveva preferito attenderne gli esisti a Milano.
Ormai fuori dalla città erano accampate almeno settantamila camicie nere che attendevano solo il via libera per entrare: l'accesso fu dato quando Mussolini e Vittorio Emanuele III si accordarono sulla formazione del nuovo governo.
Non tutti però a Roma accolsero in silenzio l’entrata dei fascisti in città.
I primi scontri si verificarono nei pressi di Borgo Pio, già dal 29, quando i fascisti vennero accolti a lanci di pietre, tegole e qualche revolverata. Poi alcune colonne delle camicie nere decisero di passare per San Lorenzo, un quartiere fortemente popolare, nel quale si erano verificati più volte conflitti piuttosto duri tra i seguaci di Mussolini e gli antifascisti. Inizialmente per impedire gli scontri il generale Caselli, al comando dei granatieri, cercò di parlamentare con entrambi gli schieramenti, ma mentre quelli di San Lorenzo dissero che non avrebbero attaccato se non provocati, i fascisti non vollero cambiare itinerario. Alla fine la battaglia divenne inevitabile. Secondo alcuni resoconti a sparare per primi furono gli operai di San Lorenzo, secondo altri invece l’attacco arrivò dalle camicie nere. Fatto sta che inizialmente gli antifascisti ebbero la meglio. Presto però gli uomini di Mussolini tornarono più numerosi ed attaccarono parecchi edifici in tutto il quartiere uccidendo 13 persone e ferendone oltre 200. Gli scontri non finirono a San Lorenzo ma si rinnovarono al Tuscolano, sulla Prenestina e la Nomentana, dove gruppi variegati di antifascisti attaccarono diversi drappelli di camicie nere provocando morti e feriti.
La sorte di quei giorni era però segnata e le iniziative individuali e di gruppo non poterono fermare l’ingresso dei fascisti in città che raggiunse il suo apice con la sfilata davanti al Quirinale, all’epoca sede del sovrano.
Ma se la Marcia su Roma, da un lato, rappresenta il raggiungimento di un traguardo fondamentale per il fascismo, dall’altro gli episodi di aperta ostilità che si verificarono nella capitale e in molte altre città rappresentarono i primi autentici atti di Resistenza nei confronti della deriva autoritaria che il paese stava imboccando a passi sempre più rapidi.
Il 22 ottobre 2009 moriva Stefano Cucchi.
I FATTI CERTI ci dicono che:
1) il 15 ottobre Stefano Cucchi viene arrestato dai carabinieri e portato in caserma doveviene brutalmente pestato;
2) il giorno dopo viene visto dal Magistrato della convalida, dal PM, dal difensore d'ufficio e dalle guardie, e dopo l'udienza viene portato in cella;
3) il 22 ottobre muore in detenzione ospedaliera quando ormai pesa 37 KG e secondo i periti del primo processo era "in grave carenza di cibo e liquidi". Quindi ben 7 giorni dopo. Questo significa che Stefano Cucchi è stato lasciato morire dopo una straziante agonia lunga sette maledettissimi giorni, da tutti quelli (guardie, giudici, medici, assistenti ecc,) che lo avevano in custodia, e che sono pagati dallo Stato italiano per garantire l'incolumità fisica di chi viene appunto affidato alla loro custodia.
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