ἄσκησις • áskēsis

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Canale dedicato alle tradizioni spirituali tra Oriente e Occidente, l'esoterismo come aspetto spirituale del mondo, l'ascenso, il furor poetico, la filosofia come trascendimento dell'illusione che pervade l'esistente.
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2 months, 2 weeks ago

Settembre* è sacro a Giove Ottimo Massimo e alla Dea Pomona, Signora dei Pomi d’Oro offerti all’eroe “aurificato” che li eleva al Cielo, realizzando la completa divinizzazione. Con la cornucopia colma di frutti, la Dea Pomona è connessa anche al Dio Vertumnus, il Signore del cangiamento, ella ha un suo Flamen Pomonalis e un suo sacrario sulla via Ostiense, circondato da un bosco sacro, il Pomonal, che è sempre stato curato con amore e devozione pia dai fedeli.
In Settembre si verifica l’
equinozio di Autunno in cui la Natura si arresta nell’equilibrio di Cielo e Terra, il suo divenire, la Pax aurificata raggiunta ad Agosto si stabilizza a Settembre, tutto il mondo esteriore tace* e si tinge di rosso-aureo, gli ultimi frutti vengono raccolti e custoditi nell’Hortus Pomonalis, che costituisce la presenza nel'Orbe della pienezza dell’Età Aurea. (Victrix)

2 months, 2 weeks ago
***In virtute posita est vera felicitas.***

In virtute posita est vera felicitas.

Nella virtù è posta la vera felicità.

(Seneca, De vita beata, XVI, 1)

Giunto al compimento del suo atto essenziale, un ente è completamente felice. Nell’uomo, composto di animo, anima e corpo, si riduce tutto all’animo, il vero essere permanente. La pena che l’anima sperimenta è la “pena di esistere”, dello stare fuori dall’Essere, nella quale è presente la tensione, il moto psichico alla ricostituzione nell’Essere. Questa pena non è quiete, ma inquietudine, è esperienza del limite psichico, della finitudine dell’attività dell’anima, della mancanza della piena fruizione della Luce del Vero, dell’Essere Divino. Da questa privazione nasce la “tristitia” fondamentale. Le diverse religioni, che procedono dalle origini paradisiache e conservano la memoria della perdita della perfezione, hanno costituito le diverse vie per il recupero della beatitudine integrale dell’anima, consentendole di liberarsi dalla soggezione alla malia della dimensione psichica distintiva e dalla pena della esistenza. La società postmoderna è il prodotto finale dell’alienazione dell’anima dall’Essere Divino e dalla vita religiosa che conduce ad Esso, perciò non può che produrre l’annientamento dell’anima nell’inquietudine abissale della  materia tenebrosa, il cui desiderio, completamente vuoto e vano, porta al non essere e all’illusione cosmica integrale.

2 months, 3 weeks ago

I Dipinti Segreti Del Tempio Lukhang
Fotografie di Chögyal Namkhai Norbu

Una visita alla mostra con il curatore Jakob Winkler

Nel 1981 il professor Namkhai Norbu, tornato a Lhasa dopo oltre 20 anni, scattò le prime fotografie di quelle che allora erano considerate le opere più segrete del Tibet, i dipinti murali del XVIII secolo del Lukhang, un piccolo tempio situato dietro il Palazzo del Potala che contiene ciò che è diventato noto come la Cappella Sistina del buddismo  tibetano. Esoterica meraviglia, le immagini del Lukhang rappresentano una panoramica della cultura tibetana del 1700 e un'autentica guida visiva all'illuminazione.

La mostra raccoglie una selezione delle oltre 100 fotografie realizzate dal Prof. Namkhai, scorci momentanei, riflessi luminosi che Rinpoche ha catturato, attimi fuggenti che rappresentano tutto ciò che resta di alcuni dei dipinti murali del Lukhang, tesori ormai perduti.

Dal 23 giugno all'8 dicembre 2024
MACO - Museo di Arte e Cultura Orientale di Arcidosso.

https://www.youtube.com/watch?v=vIeVu1ofZZs&ab_channel=MuseodiArteeCulturaOrientale

YouTube

The Secret Murals of the Lukhang Temple photos by Chögyal Namkhai Norbu - with curator Jakob Winkler

The Secret Murals of the Lukhang Temple, Photographs by Chögyal Namkhai Norbu - a visit to the exhibition with curator Jakob Winkler In 1981 Professor Namkhai Norbu, returning to Lhasa after more than 20 years, made the first photographs of what were then…

2 months, 3 weeks ago
O Grecia felice, dimora di tutti …

O Grecia felice, dimora di tutti i Celesti, 
dunque udii il vero nella mia giovinezza? 
Una sala festosa. Pavimento è il mare, i monti 
le mense, erette a questo dall'origine dei tempi. 
Ma dove sono i troni? e i templi? e i crateri 
colmi di nettare? un canto per la gioia degli Dei? 
I loro detti luminosi dal compimento lontano? 
Delfi dorme, non ha voce il grande evento, 
il rapido evento? e quello che balena col tuono 
nell'aria limpida colmo di onnipresente gioia? 
« Cielo Padre! » il grido volava di labbro in labbro 
moltiplicato: nessuno sopportava da solo la vita. 
Un bene diviso e scambiato con gli stranieri 
si fa giubilo, cresce nel sonno la potenza della parola. 
« Padre», « sereno»! lontano, lontano dà eco il Segno 
originario, ereditato dai padri, operoso, creatore. 
Così i Celesti prendono dimora ed agli uomini cala 
dalle ombre con un profondo tremito il loro giorno.

Friedrich Hölderlin, Pane e vino

2 months, 4 weeks ago

Nostos. Il ritorno (1989) di Franco Piavoli

Quando sorse la stella lucente, che più di tutte
annunzia venendo la luce della mattutina Aurora,
ecco appressarsi all'isola la nave marina.
C'è un porto di Forco, il vecchio del mare,
nella terra di ltaca, e sporgenti in esso
due coste scoscese, degradanti nel porto,
che arrestano il grande maroso di fuori sospinto
dai venti furiosi: dentro vi sostano, senza cima d'ormeggio,
le navi ben costruite, quando arrivano all'ancoraggio.
E sulla punta del porto è un ulivo con foglie sottili,
e accanto una grotta graziosa, buia,
sacra alle Ninfe che si chiamano Naiadi.
Dentro vi sono crateri e anfore
fatti di pietra: e vi stipano il miele le api.
Vi sono telai sublimi di roccia, dove le Ninfe
tessono drappi dai bagliori marini, una meraviglia a vederli;
e acque perenni vi sono. Due entrate ha la grotta,
una a borea è accessibile agli uomini,
l'altra a noto è serbata agli dèi: da lì non entrano
uomini, ma è la via degli eterni.

Odissea (XIII, 92-112)

2 months, 4 weeks ago

In un testo del Chaktri (Phyag khrid) di Dru Gyalwa Yungdrung (1242-1290), si dice che durante l'Introduzione Diretta al Figlio (bu) o Saggezza della Consapevolezza (rig pa'i ye shes) siamo sottoposti ad un'esperienza di stupefazione senza attenzione, di dispersione senza fissazione, di nudità senza concetti e di chiarezza priva di attaccamento. [...]
Queste esperienze hanno luogo quando la coscienza discorsiva si libera naturalmente dal suo afferrare, dalle sue proiezioni, etc. In quel momento, la nostra coscienza rimane in uno stato temporaneamente privo di pensieri, che viene definito come un momento di stupefazione (o sospensione) senza attenzione.
Questo significa che la mente è in una condizione in cui il flusso dei pensieri è temporaneamente interrotto, una condizione conosciuta come stupore, nel senso più acuto del termine, o come sospensione nel senso più sottile.
Stupefazione deve qui essere inteso nel suo senso più letterale, non come un intorpidimento o stordimento, ma piuttosto come uno sbigottimento/meraviglia, che lascia la mente senza parole, nell'incapacità di usare il linguaggio per descrivere ciò che esperisce.
Questa condizione viene presentata come priva d'attenzione poiché non dipende da alcuna forma di vigilanza o sorveglianza (come quando si affrontano potenziali insidie quali intorpidimento/cedimento, etc.), precisamente perché lo stato di cui abbiamo esperienza non è soggetto ad insidie. L'attenzione non è quindi necessaria in questo sorprendente sbalordimento. [...]
Insomma, un'esperienza di stupefazione senza attenzione avviene perché la mente è temporaneamente libera dalle sue proiezioni e rimane in uno stato privo di pensieri. Allo stesso tempo, ha luogo un secondo momento dell'esperienza che corrisponde a ciò che è definito come "dispersione senza fissazione". Qui, il concetto di dispersione fa riferimento diretto al fatto che la mente non è concentrata su alcunché: essa vaga nella sua stessa natura, senza smarrirsi, senza essere trascinata via da potenziali pensieri o impantanarsi nei meandri del discorso interiore. Simultaneamente, la mente è liberata da ogni attaccamento, come un uccello liberato da una trappola che lo tratteneva, e che vola via in un istante, senza lasciare alcuna traccia e senza che gli manchi la trappola che lo impediva.
In modo simile, la mente sprofonda nella sua stessa immensità, senza tuttavia perdersi o perdere la sua chiarezza intrinseca. Potremmo dire che la mente immensifica se stessa nella sua infinitezza senza essere trattenuta da alcunché. In questo spazio interiore privo di tutti i limiti, essa gode delle qualità della non-azione che la liberano da tutti gli sforzi normalmente prodotti dall'attività della mente.
Al culmine di queste due esperienze simultanee, la mente scopre la sua stessa nudità priva di concetti. La nozione di nudità significa che la mente non è più coperta dai drappi dell'intelletto, rimanendo così senza alcun concetto; in questa condizione virginale, essa contempla tutti i fenomeni dell'esistenza manifesta senza produrre attaccamento o avversione verso di essi.
lnfine, la mente esperisce una chiarezza libera dall'afferrare in cui ogni cosa appare come se fosse un riflesso in uno specchio. Questo avviene in una modalità immutabile che non è disturbata dall'afferrare – o rigettare - qualunque potenziale oggetto. Essa rimane perpetuamente chiara e brillante, piena delle qualità salvifiche che sono inerenti alla sua condizione primordiale.

Jean-Luc Achard, The Dzogchen Path of Clear Light

5 months, 1 week ago

L'uomo si assunse la responsabilità del­le leggi sotto cui voleva vivere e quella di modellare l'ambiente a propria immagi­ne. L'iniziazione primitiva alla vita miti­ca attraverso la Madre Terra si trasfor­mò nell'educazione (paideia) del cittadino capace di sentirsi a proprio agio nel foro.
Per il primitivo il mondo era governato dal fato, dai fatti e dalla necessità. Sot­traendo il fuoco agli dèi, Prometeo tramu­tò i fatti in problemi, revocò in dubbio la necessità e sfidò il fato. L'uomo classico formò un contesto civilizzato per una pro­spettiva umana. Era conscio di potere, sí, sfidare il fato; la natura e l'ambiente, ma solo a proprio rischio. L'uomo contempora­neo va oltre: tenta di creare il mondo a propria immagine, di costruire un ambien­te prodotto totalmente dall'uomo, e poi s'accorge che può farlo solo a patto di rifa­re continuamente se stesso per adattarsi ad esso. Dobbiamo ora guardare in faccia la realtà: è l'uomo stesso che è in gioco. [...]
Poiché non c'è nulla di desiderabile che non sia stato programmato, il ragazzo di città ne arguisce che sapremo sempre inventare un'istituzione per ogni nostro bi­sogno. Riconosce al processo, come un dato di fatto incontestabile, il potere di creare valore. Che si tratti d'incontrare un compagno, d'integrare un quartiere o d'im­parare a leggere, l'obiettivo verrà sem­pre definito in modo tale che la sua rea­lizzazione sia organizzabile tecnica­men­te. L'uomo il quale sa che tutto quan­to è richiesto viene prodotto, ben presto finisce per aspettarsi che niente di ciò che viene prodotto possa non essere richiesto. Se si può progettare un veicolo lunare, al­trettanto è concepibile la richiesta di anda­re sulla luna. Non andare dove si può andare sarebbe sovversivo. Smascherereb­be la follia del principio che ogni richiesta soddisfatta comporti la scoperta di una ri­chiesta ancor maggiore che chiede di esse­re soddisfatta a sua volta. Una rivelazio­ne del genere arresterebbe il progresso. Non produrre ciò che è possibile mettereb­be in luce che la legge delle «aspettati­ve crescenti» è un eufemismo per indicare un abisso di frustrazione sempre piú profondo, che è il vero motore di una so­cietà fondata sulla coproduzione di servizi e di accresciuta domanda.
Lo stato d'animo dell'abitante della cit­tà moderna figura nella tradizione miti­ca solo nelle immagini dell'inferno. Sisi­fo, che per qualche tempo era riuscito a mettere in catene Thanatos (la morte), de­ve far rotolare un pesante masso su per una collina sino in cima all'Ade, e ogni volta che sta per arrivare alla meta il mas­so gli sfugge di mano. Tantalo che, invita­to a pranzo dagli dèi, rubò loro in quella occasione la ricetta segreta dell'ambrosia che guariva ogni male e conferiva l'im­mor­talità, soffre in eterno la fame e la sete, immerso in un fiume le cui acque si ri­traggono dalle sue labbra e sotto i rami di un albero i cui frutti gli sfuggono. Un mondo di richieste sempre crescenti non è semplicemente un male, lo si può soltanto definire un inferno.
L'uomo ha conquistato il potere fru­strante di chiedere qualunque cosa perché non riesce a immaginare niente che non possa essergli fornito da un'isti­tu­zione. Circondato da strumenti onnipotenti, è ridotto a essere uno strumento dei propri strumenti. Ogni istituzione nata per esorcizzare uno dei ma­li primitivi è diventata per lui uno scrigno a perfetta tenuta e a chiusura auto­matica. L'uomo è intrappolato nelle scatole da lui costruite per racchiudervi i mali che Pandora si lasciò scappare. L'offuscamento della real­tà ad opera dello smog prodotto dai nostri strumenti ci ha avviluppati tutti. Ci tro­viamo all'improvvi­so nel buio di una trappola fab­bricata da noi stessi.

Ivan Illich, Descolarizzare la società (1971)

5 months, 1 week ago

Rinascita dell'uomo epimeteico

La nostra società assomiglia a quella macchina insuperabile che ho visto una volta a New York in un negozio di gio­cattoli. Era uno scrigno metallico, che, premendo un pulsante, si apriva per mostrare una mano meccanica le cui dita cromate si protendevano verso il coper­chio, lo abbassavano e lo chiudevano a chia­ve dall'interno. Trattandosi di una sca­tola, ti saresti aspettato che si potesse estrarne qualcosa, e invece conteneva sol­tanto un meccanismo per chiudere il coper­chio. Questo bizzarro congegno è il contrario esatto della «scatola» di Pando­ra.
La Pandora originaria, «Colei che tutto dona», era una dea della terra nella Grecia matriarcale della preistoria. Essa fece scap­pare tutti i mali dal suo vaso (pythos), ma chiuse il coperchio prima che potesse fuggirne anche la speranza. La storia del­l'uomo moderno comincia con la degra­dazione del mito di Pandora e termina con lo scrigno che si chiude da solo. È la storia dello sforzo prometeico per creare istituzioni che blocchino l'azione dei mali scatenati. È la storia dell'affievolirsi della speranza e del sorgere delle aspettative.
Per capire ciò che questo vuol dire dob­biamo riscoprire la differenza tra speranza e aspettativa. Speranza, nell'accezione piú pregnante, indica una fede ottimistica nel­la bontà della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui utilizzerò questo termine, è contare su risultati programmati e con­trollati dall'uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla quale at­tendiamo un dono. L'aspettativa attende soddisfazione da un processo prevedibile, il quale produrrà ciò che è nostro diritto pretendere. Oggi l'ethos prometeico ha mes­so in ombra la speranza. La sopravvi­venza della specie umana dipende dalla sua riscoperta come forza sociale.
La Pandora originaria venne mandata sulla terra con un vaso che conteneva tutti i mali, e in piú, come unico bene, la speran­za. Era in questo mondo di speranza che viveva l'uomo primitivo. Egli confida­va, per sopravvivere, nella munificenza del­la natura, nelle elargizioni degli dèi e negli istinti della sua tribú. I greci del­l'e­po­ca classica cominciarono a sostitui­re alla speranza le aspettative. Nella lo­ro versione del mito, Pandora liberava sia i mali che i beni; ma essi la ricordavano so­prattutto perché aveva sguinzagliato i mali nel mondo. E, cosa particolarmente si­gnificativa, dimenticavano che «Colei che tutto dona» era anche la guardiana della speranza.
I greci raccontavano anche la storia di due fratelli, Prometeo e Epimeteo. Il pri­mo consigliò all'altro di star lontano da Pandora; ma l'altro non gli diede retta e la sposò. Nella Grecia classica il nome «Epimeteo», che significa «colui che capi­sce a posteriori», era considerato un sinoni­mo di «sciocco» o di «ottuso». All'epoca in cui Esiodo rinarrò questa storia nella sua forma classica, i greci erano divenuti dei patriarchi moralisti e misogini, terro­rizzati al solo pensiero della prima donna. Essi costruirono una società razionale e autoritaria. Escogitarono istituzioni con le quali contavano di tener testa ai mali sca­tenati. Scoprirono il loro potere di plasmare il mondo e di fargli produrre ser­vizi che impararono anche ad aspettar­si. Vollero che le proprie necessità e le fu­ture esigenze dei loro figli fossero confor­mate alle loro opere. Divennero legislato­ri, architetti e scrittori, crearono costitu­zioni, città e opere d'arte perché servis­sero da modello alla loro progenie. Men­tre l'uomo primitivo aveva adoperato una partecipazione mitica ai sacri riti per ini­ziare gli individui alle tradizioni della so­cietà, i greci dell'età classica riconosceva­no come veri uomini solo quei cittadini che si lasciavano adattare dalla paideia (educazione) alle istituzioni create dai lo­ro avi. [...]

5 months, 2 weeks ago

Felicitas est fortuna adiutrix consiliorum bonorum.

La Felicità è la fortuna fautrice di buoni consigli.

Cicerone, Ep. Fr. 2.5

Il termine felix è un termine neutro, che indica “ciò che produce frutto”, ciò che è giunto al suo compimento. È felix chi ha raggiunto il suo proprio fine, ma è felix anche ciò che è fecondo, produttivo, costitutivo di atto vivente. In particolare casi i termini felix e fecundus sono utilizzati come sinonimi. Comunque nel termine felix prevale sempre il senso di “atto ben riuscito”, ben fatto, oppure il termine definisce “l’ente compiuto”, giunto a “maturazione perfetta”, l’ente che ha realizzato il buon fine della sua natura, del suo vivere.
Perciò si può dire anche che, colui che gode del massimo favore, nell’atto della sua realizzazione, è favorito dagli Dei, è assecondato dagli Dei, perciò felix, talvolta, è sinonimo anche di fortunatus, perché chi è felice è giunto a compimento, ha avuto successo, e perciò gode di prosperità e favore divino.
Cicerone dice infatti: “Felicitas est fortuna adiutrix consiliorum bonorum”, così come Seneca dice: “Sani felicitas corporis”, per indicare la fortuna di avere un corpo sano. Ma è certamente Virgilio che articola il senso della felicitas in tutta la sua profondità religiosa e in tutti i significati collegati alla vita dell’uomo.
Iunius è proprio il tempo in cui giunge alla piena maturazione il frutto, all’apice dell’elevazione solare, alla massima potenza della luce celeste, ognuno di questi elementi trattati traspare nelle singole giornate del mese. Con il solstizio estivo si compie l’ascesa trionfale e apoteosica del Sole, così si apre l’Estate. Dopo il verde Marzo, il bianco Aprile, il giallo Maggio, si arriva all’arancio-rosso Giugno. Al culmine dell’ascesa del Sole, la liberazione dell’animo dalla terra è pressoché definitiva, la vittoria completa del Sol-Spiritus è conseguita.
Significativamente, la festa di Fortuna chiude il mese, questa festa suggella il conseguimento del possesso di Fortuna da parte del trionfatore, un risultato che sancisce il suo passaggio alla dimensione della Gloria, che sarà espressa da Luglio e Agosto.
Il mese è sacro a Iuno Regina, Madre degli Dei e degli uomini, sposa e sorella di Iuppiter, accorda il suo soccorso, iuvat. Iuno è l’Anima di Iuppiter, l’aere-anima su cui esso opera per costituire la manifestazione, è l’Aura degli Dei, che si rivela nella figlia Iris, Arcus Caelestis, messaggera divina, connessa a Mercurius.
Giugno è così il mese della iunctio, nel quale si risolvono l’atto matrimoniale immanente e l’atto matrimoniale trascendente. (Victrix)

7 months, 1 week ago

La guida (guru) e l'iniziazione

A ogni stadio della pratica dello yoga, è indispensabile la presenza di una guida, che sappia distinguere l'esperienza reale dall'esperienza illusoria e evitare gli incidenti che si possono verificare quando i sensi si astraggono dalla percezione esterna. In molte forme di yoga, è il guru stesso che dà l'iniziazione: egli è come la scintilla che trasforma la miccia e l'olio in una fiamma viva.
Benché, da un certo punto di vista, la vera guida sia in ultima analisi lo stesso Shiva, e, da un altro punto di vista, ognuno sia guida di se stesso, non è possibile, salvo in casi eccezionalissimi, raggiungere la conoscenza senza l'aiuto di una guida incarnata in un essere umano e collegata da una catena iniziatica ininterrotta ai veggenti dei tempi antichissimi. Può essere una vera guida solo colui che ha realizzato l'identificazione (samādhi), preso coscienza della natura reale del principio astratto descritto come quello che dà la pace (Shankara Shiva), e acquisito così la conoscenza di tutte le cose e di tutti i modi di conoscenza.
Nella reintegrazione per mezzo dell'identificazione, o laya yoga, i tantra insegnano che l'energia avvolta non può esser svegliata che dall'intervento di un guru. Costui dapprima dà al discepolo l'iniziazione per contatto (sparsha dikshā), e solamente in seguito l'iniziazione celeste (divya). Allorché il discepolo riceve l'iniziazione, l'energia avvolta si sveglia subito e il suo corpo comincia a risplendere. Il guru, dopo aver compiuto la 'discesa dell'energia' (shakti pāta), tocca il terzo occhio, l'occhio invisibile del centro di grande purezza fra le sopracciglia, e il discepolo riceve l'illuminazione. Così la grazia di un vero guru può dare in un lampo ciò che si acquisisce solo penosamente mediante la pratica paziente dello haṭha yoga.

Alain Daniélou, Yoga. Metodo di reintegrazione

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