I Maestri del Socialismo

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JORGE AMADO, SCRITTORE BRASILIANO COMUNISTA

«Io dico no quando tutti, in coro, dicono sì. Questo è il mio impegno». (da Tocaia Grande)
«Dagli infiniti spazi del paese del socialismo giunge fino a noi l'influenza di grandi e nobili idee del nostro secolo. Da laggiù ci illumina il sole del socialismo: un grande esempio, una grande meta».

Il brasiliano Jorge Amado (Itabuna, 10 agosto 1912 – Salvador de Bahia, 6 agosto 2001) inizia a scrivere giovanissimo e contemporaneamente diventa militante del Partito Comunista del Brasile (PCdoB). Ha scritto su di lui Davide Rossi:
«Nei suoi romanzi si fondono i temi sociali e il fremito della sensualità, la bellezza dell’amplesso e le ragioni della lotta per la giustizia e l’uguaglianza. A vent’anni, sconvolto dalla vita che facevano i lavoratori di Pirangi, scrive Cacao (1933), a ventidue Sudore (1934), tra le sue prove più riuscite, più impegnate. La dittatura di Getulio Vargas (1930-45) lo obbliga all’esilio; migra per l’America Latina e nel 1941 arriva a Città del Messico dove stringe un’amicizia straordinariamente profonda con Anna Seghers, molti sono i pomeriggi che passano insieme, anche con Pablo Neruda. Rientra in Brasile nel dopoguerra, diventa il più votato parlamentare di San Paolo; in qualità di rappresentante del Partito Comunista è parte del gruppo di 16 comunisti dell’assemblea e scrive le leggi per il diritto d’autore e la libertà di religione. Ma la democrazia dura poco: nel 1947 il suo partito è dichiarato illegale ed i suoi membri sono perseguitati ed arrestati. Torna in esilio, in Europa, a Parigi, ma soprattutto nei paesi socialisti, dalla Cecoslovacchia alla DDR, dalla Polonia dove incontra Hikmet e Guillen, all’Unione Sovietica, dove nel 1951 riceve il Premio Stalin per la Pace, insieme, tra gli altri, a Pietro Nenni e Anna Seghers. Scrive a Praga l’affascinante trilogia I sotterranei della libertà (1954): Tempi difficili – Agonia della notte – La luce in fondo al tunnel. Chiudono questi tre romanzi la sua scrittura più vicina al realismo socialista, certo sempre in salsa brasileira. Amado torna in patria nel 1955 per vivere con gioia le speranze di un decennio democratico, che verrà travolto da un nuovo ventennio di dittatura militare brutale e assassina, dal 1964 al 1985. Farà resistenza, civile e culturale, come il grande cineasta Glauber Rocha, ma se questi sarà costretto all’esilio, ad Amado sarà risparmiato il terzo allontanamento dalla sua terra. Vive a Salvador de Bahia, città principale dello regione in cui è nato, dove ha studiato da ragazzo prima di andare a Rio de Janeiro. Qui vivrà fino alla fine dei suoi giorni, nei luoghi che oggi ne sono memoria e museo. La sua creatività libera personaggi femminili che diventano protagonisti di pellicole indimenticabili, Dona Flor, Gabriela, Tieta, è l’irruzione fantasmagorica del realismo magico dentro i temi sociali, che non vengono mai meno, ma si stemperano nel prevalere dell’amore e dell’irruenza incontenibile della sessualità, pur sempre nella complessità delle relazioni e dentro una società in trasformazione. Il 6 agosto 2001 si spegne, quasi novantenne, con la serenità di una vita appassionata e intensa, ricca di emozioni e impegnata».
Ateo e materialista, Jorge si allontana dalla militanza politica al ritorno in Brasile nel 1955, senza però abbandonare il Partito Comunista. Amado ha affermato che la sua rinuncia alla militanza politica non è stata dettata dalla denuncia dei “crimini stalinisti” e dalla conseguente disillusione circa l'effettiva capacità del comunismo come mezzo di cambiamento della società: è nata dalla consapevolezza di risultare più utile al popolo brasiliano come scrittore piuttosto che come politico.

[Per saperne di più: https://www.storiauniversale.it/26-JORGE-AMADO-SCRITTORE-BRASILIANO-COMUNISTA.htm. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]

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26. JORGE AMADO, SCRITTORE BRASILIANO COMUNISTA

Il brasiliano Jorge Amado (Itabuna, 10 agosto 1912 – Salvador de Bahia, 6 agosto 2001) inizia a scrivere giovanissimo e contemporaneamente diventa militant

JORGE AMADO, SCRITTORE BRASILIANO COMUNISTA
4 months, 2 weeks ago
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4 months, 2 weeks ago

In questa maniera le classi dominanti riescono a imporre i propri valori a tutta la società – almeno la stragrande maggioranza – con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno ad un senso comune condiviso.
Se le rivoluzioni comuniste non si sono verificate nei paesi a capitalismo avanzato è a causa del controllo dell’ideologia, dell’autocoscienza e dell’organizzazione dei lavoratori da parte della cultura borghese egemone. La classe borghese dominante impone la propria ideologia alle masse attraverso la scuola, la Chiesa, i mass media e altri canali, inculcando nelle classi subalterne una “falsa coscienza”. A causa di ciò i lavoratori invece di unirsi per rivoluzionare la società, costruendone una che serva a soddisfare i loro bisogni collettivi, fanno propria l’ideologia borghese dominante cedendo alle sirene del nazionalismo, del consumismo sfrenato e della competizione sociale, abbracciando un’etica individualista ed egoistica. Per arrivare alla rivoluzione comunista (“guerra di movimento”, scontro violento di classe inevitabile per la conquista del potere) è prima necessario combattere una lunga «guerra di posizione» per conquistare l’egemonia culturale.
Il materialismo insegna che le norme culturali prevalenti non devono essere viste come “naturali”, “inevitabili” o “eterne”, ma possono e devono essere cambiate. Conquistare l’egemonia non è facile perché la classe dominante per mantenere il proprio potere è in grado di attuare «rivoluzioni passive», ossia rivoluzioni provenienti dall’alto, dirette dalla classe dominante contro i ceti subordinati, finalizzate alla ristrutturazione della società in senso letteralmente reazionario, ma che possano essere contrabbandate con la propaganda come rivoluzioni per il popolo. Il fascismo fu per l’appunto l’esempio di rivoluzione passiva.
Inoltre per depotenziare la concezione del mondo anticapitalista, le classi dominanti denigrano la cultura delle classi subalterne, derubricandola a folklore.
Un gruppo sociale che lotta per conquistare l’egemonia politica deve quindi da un lato conquistare ideologicamente gli intellettuali tradizionali, dall’altro elaborare gli intellettuali organici alla propria classe e fare di questi i propri dirigenti politici. Il partito comunista dev’essere sintesi di questo processo: deve diventare un intellettuale collettivo di avanguardia e direzione politica della classe proletaria in lotta per l’egemonia.
Quando le classi dominanti non riescono più a risolvere i problemi della collettività e ad imporre la propria ideologia, si manifesta la crisi dell’egemonia. A quel punto se le classi subalterne (proletariato e parte della piccola borghesia) riescono ad indicare soluzioni concrete ai problemi lasciati irrisolti dalla classe dominante, possono diventare dirigenti, creando un nuovo blocco sociale, diventando egemoni. La conquista dell’egemonia avviene inizialmente a livello della sovrastruttura (politica, cultura, idee, morale…), ma poi trapassa nella società investendo anche la struttura, dunque tutto il blocco storico (insieme di rapporti sociali di produzione e i loro riflessi ideologici).
Propedeutica alla lotta per la conquista dell’egemonia è la formazione di una coscienza di classe: il proletariato per lo più non è consapevole della sua condizione reale di subordinazione al capitale, non ha una chiara conoscenza teorica che lo aiuti a conoscere il mondo e quindi a trasformarlo. Per maturare questa autocoscienza critica occorre organizzarsi e creare un gruppo di intellettuali organici alla classe.
Il Partito deve comporsi di tre elementi fondamentali:
1) i “capitani”: l’elemento coesivo principale dotato di inventiva. Da solo non forma il partito, ma è più importante (come punto di partenza) della massa: è più facile formare un esercito che formare dei capitani;

4 months, 3 weeks ago

LENIN E LA PROPOSTA DEL PARTITO D’AVANGUARDIA

Lenin nel saggio Che fare? (1902), in cui si delinea in modo sistematico una solida teoria dell’organizzazione e la strategia del partito rivoluzionario del proletariato.
Il partito è considerato l’unico strumento in grado di esercitare un’egemonia – termine che assume ora valenze positive – sulla società, dirigendola verso una rivoluzione socialista “scientifica”. Secondo la sua analisi, la classe operaia lasciata da sola non arriva a idee comuniste, ma solo ad una coscienza tradunionista (sindacalista), rimanendo assoggettata alla borghesia. Perciò non bastano i sindacati, ma è necessario un partito per combattere l’ordinamento borghese.
L’approccio sindacalista mira infatti solo ad un miglioramento delle condizioni economiche minime del lavoratore, senza interessarsi del fatto che questo avvenga a scapito del peggioramento delle condizioni di lavoratori dei paesi sfruttati dall’imperialismo. I comunisti hanno una visione più ampia rispetto ai sindacalisti, perciò lottano per l’uguaglianza delle diverse nazioni come precondizione per la liberazione dei lavoratori di tutto il mondo. Secondo Lenin la coscienza politica di classe può essere portata solo “dall’esterno”. Lenin propone la formazione di un partito rivoluzionario composto dall’avanguardia della classe operaia, in cui partecipano rivoluzionari di professione. La polemica di Lenin non si rivolge però solo ai sindacati – considerati comunque un mezzo fondamentale per il proletariato, e all’interno dei quali i comunisti dovevano sempre e comunque lavorare – ma in generale contro ogni tipo di movimentismo e spontaneità carente di organizzazione e teoria. Si veda il seguente passo che testimonia come i problemi del movimento operaio siano storicamente, nei punti fondamentali, sempre gli stessi. Basterà sostituire la parola “socialdemocratico” con “comunista” (all’epoca del presente scritto non era ancora avvenuta la scissione tra le tendenze riformiste e rivoluzionarie) e il Raboceie Dielo (giornale dell’area movimentista del partito socialdemocratico russo dell’epoca) con qualsiasi movimento italiano odierno:
«In ogni caso, la funzione della socialdemocrazia non è di trascinarsi alla coda del movimento: cosa che nel migliore dei casi è inutile, e, nel peggiore, estremamente nociva per il movimento stesso. Il Raboceie Dielo, da parte sua, non si limita a seguire questa “tattica-processo”, ma la erige a principio, sicché la sua tendenza deve essere definita non tanto opportunismo quanto (dalla parola: coda) codismo. Certo si è che della gente fermamente decisa a stare sempre dietro al movimento come una coda è assolutamente e per sempre garantita contro la “sottovalutazione dell’elemento spontaneo dello sviluppo”.
Abbiamo dunque costatato che l’errore fondamentale della “nuova tendenza” della socialdemocrazia russa è di sottomettersi alla spontaneità, di non comprendere che la spontaneità delle masse esige da noi, socialdemocratici, un alto grado di coscienza. Quanto più grande è la spinta spontanea delle masse, quanto più il movimento si estende, tanto più aumenta, in modo incomparabilmente più rapido, il bisogno di coscienza nell’attività teorica, politica e organizzativa della socialdemocrazia». (dal Che Fare?)
Lenin ribadisce più volte che non dev’essere il rivoluzionario ad abbassarsi al livello politico del rivoltoso ma il contrario. Chiaramente il rapporto tra proletari e partito va inteso non a senso unico (cioè di una pedagogia pedante e settaria) ma in modo dialettico, per cui non ci si può aspettare che tutti si “elevino” al livello degli intellettuali marxisti, ma occorre lavorare con l’uomo di cui si dispone nel presente.

[Testo tratto da A. Pascale, "Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari". Info su https://intellettualecollettivo.it/comunismo-o-barbarie/. Seguici sui nostri canali I Maestri del Socialismo su Facebook, Instagram e soprattutto Telegram - https://t.me/intellettualecollettivo. Info e materiali su Intellettualecollettivo.it e Storiauniversale.it]

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LENIN E LA PROPOSTA DEL PARTITO D’AVANGUARDIA
4 months, 3 weeks ago
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4 months, 3 weeks ago

"LE BOMBE NELLE PIAZZE... LE BOMBE NEI VAGONI...
LE METTONO I FASCISTI, LE PAGANO I PADRONI!"

44 anni fa, la mattina del 2 agosto 1980 una bomba esplose nella stazione di Bologna, causando 85 morti e oltre 200 feriti. L'attentato è stato un atto della strategia della tensione, una serie di attacchi terroristici volti a destabilizzare l'Italia durante gli anni di piombo, con l'obiettivo di contrastare l'ascesa delle forze comuniste e progressiste.
I padroni volevano un clima di paura e insicurezza per giustificare misure repressive e conservatrici. In questo contesto i fascisti giocarono un ruolo centrale. I neofascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) furono accusati e condannati per l'attentato, ma l'ombra della complicità dei servizi segreti italiani, e di Gladio, l'organizzazione paramilitare segreta creata durante la Guerra Fredda per contrastare una possibile invasione comunista, è ormai una certezza, nonostante la mancata apertura degli archivi di Stato su quella stagione.
Il regime democristiano dell'epoca è stato accusato di aver chiuso un occhio, se non addirittura di aver facilitato, queste operazioni clandestine. L'obiettivo era mantenere il potere e prevenire una svolta a sinistra del paese. Questa collusione tra elementi dello Stato, servizi segreti e gruppi neofascisti ha palesatotutti i limiti della democrazia "liberale" in un Paese privo di effettiva sovranità nazionale e popolare.
Negli anni, il revisionismo storico ha cercato di riscrivere la narrazione della strage di Bologna, suggerendo che potesse essere opera dei brigatisti rossi. Questa teoria, però, è stata ampiamente smentita dalle indagini giudiziarie e storiche, che hanno confermato il coinvolgimento dei NAR e la connivenza di apparati dello stato.
Continuiamo a lottare contro il revisionismo storico e mantenere viva la memoria di questi eventi per ricordare a quali livelli di terrore possa giungere l'imperialismo per mantenere a ristrette élite oligarchiche il potere.

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"LE BOMBE NELLE PIAZZE... LE BOMBE NEI VAGONI...
4 months, 4 weeks ago

fuoco contro di lui, riuscendo a porsi in salvo incolume. I suoi numerosi sabotaggi, gli arditi e decisi attacchi alle caserme ed ai comandi nemici furono e saranno sempre fulgida gloria per il movimento di rinascita nazionale e per l’Italia tutta. Noncurante delle fatiche e dei disagi, inaccessibile allo scoraggiamento, infondeva sempre ardore ed entusiasmo in quanti lo seguirono nella dura ma radiosa via della libertà. Organizzatore eccezionale ed eroico combattente, dotato di irresistibile leggendario coraggio conquistò con il suo valore un luminoso primato alla gloria delle formazioni garibaldine ed alla gloria immortale della Patria».

Viva Giovanni Pesce, eroe della Resistenza e campione della libertà!

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fuoco contro di lui, riuscendo a porsi in salvo incolume. I suoi numerosi sabotaggi, gli arditi e decisi attacchi alle …
4 months, 4 weeks ago

IN MEMORIA DEL COMANDANTE GIOVANNI PESCE

In occasione dell'anniversario della morte di Giovanni Pesce, grande partigiano e militante comunista, rendiamo omaggio alla sua straordinaria vita e al suo incrollabile impegno per la libertà e la giustizia sociale. Nato il 22 febbraio 1918, Pesce è stato un esempio luminoso di coraggio e dedizione, incarnando i valori della Resistenza italiana e del movimento operaio.

Giovanni Pesce, conosciuto con il nome di battaglia "Visone", iniziò la sua lotta contro il fascismo già da giovane, unendosi alle Brigate Internazionali durante la Guerra Civile Spagnola per combattere il franchismo. Dopo il ritorno in Italia, continuò la sua militanza, entrando nella Resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Fu uno dei comandanti più valorosi e strategici delle Brigate Garibaldi, partecipando a numerose azioni contro l'occupazione nazifascista.

La sua capacità di organizzare e condurre operazioni complesse e pericolose lo rese una figura leggendaria tra i partigiani. Le sue azioni non erano solo atti di sabotaggio contro le forze nemiche, ma anche atti di ispirazione per la popolazione oppressa, dimostrando che la resistenza era possibile e necessaria. Pesce non esitò mai a rischiare la propria vita per la causa della libertà, guadagnandosi il rispetto e l'ammirazione di tutti coloro che lo conobbero.

Dopo la liberazione dell'Italia, Giovanni Pesce continuò il suo impegno politico come militante del Partito Comunista Italiano. La sua militanza non si fermò con la fine della guerra; al contrario, dedicò la sua vita alla lotta per i diritti dei lavoratori e alla costruzione di una società più giusta ed egualitaria. Pesce fu anche un prolifico scrittore, lasciandoci testimonianze preziose della Resistenza e dei valori che la animarono. Il suo libro "Senza tregua", in cui racconta le sue esperienze partigiane, rimane un testo fondamentale per comprendere lo spirito e le difficoltà di quegli anni.

Ricordare Giovanni Pesce significa celebrare non solo il partigiano, ma anche l'uomo che ha dedicato la sua vita a combattere ogni forma di oppressione. La sua eredità vive nelle lotte quotidiane per i diritti umani, la giustizia sociale e la libertà. In un'epoca in cui i valori per cui Pesce combatté sono spesso messi in discussione, il suo esempio ci ricorda l'importanza di resistere contro le ingiustizie e di lottare per un mondo migliore.

In questo anniversario della sua morte, rinnoviamo il nostro impegno a portare avanti i suoi ideali, rendendo omaggio a un uomo che ha incarnato il meglio della nostra storia e delle nostre aspirazioni. Giovanni Pesce rimane una stella polare per tutti coloro che credono nella libertà e nella giustizia. Con il suo ricordo vivo nei nostri cuori, continuiamo a lottare per i valori che ha difeso con tanta passione e coraggio.

Medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione:
«Valoroso combattente garibaldino, lottò strenuamente in Spagna per la causa della libertà e della democrazia riportando tre gravi ferite. Il movimento di ribellione alla tirannide nazifascista lo trovò ancora, ardito ed instancabile partigiano, al suo posto di lotta e di onore. Tra innumerevoli rischi, alla testa dei suoi valorosi G.A.P. organizzava e conduceva audacissime azioni armate, facendo sempre rifulgere il valore personale e l'epica virtù dell'italica gente. Ferito ad una gamba in un audace e rischiosa impresa contro la radio trasmittente di Torino fortemente guardata da reparti tedeschi e fascisti, riusciva miracolosamente a sfuggire alla cattura portando in salvo un compagno gravemente ferito e dal martirio delle carni straziate e dal sacrificio di molti compagni caduti, seppe trarre nuova e maggiore forza combattiva, mantenendo pura ed intatta la fede giurata. In pieno giorno nel cuore della città di Torino affrontava da solo due ufficiali tedeschi e dopo averli abbattuti a colpi di pistola, ne uccideva altri due accorsi in aiuto dei primi e sopraffatto e caduto a terra, fronteggiava coraggiosamente un sopraggiunto gruppo di nazifascisti che apriva intenso

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IN MEMORIA DEL COMANDANTE GIOVANNI PESCE
4 months, 4 weeks ago
I Maestri del Socialismo
5 months ago

Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente».

Queste formule danno il senso dell’astrattezza pratica in cui si troveranno i comunisti del 1917, quando per la seconda volta, dopo la breve esperienza della Comune di Parigi (1871), costruiranno una società socialista, stavolta in Russia. Tra gli insegnamenti più forti le rivoluzioni dell’ultimo secolo, tra cui spicca per importanza quella francese (1789-94).

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