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«Per questo la lima raschia con insistenza, perché la naturale lucentezza del metallo appaia più chiaramente. La fiamma saggia i vasi del vasaio, mentre la tribolazione saggia gli uomini giusti. Perciò anche il beato Giacomo dice: “Considerate perfetta letizia, fratelli, quando subite ogni sorta di prove.»
SAN PIER DAMIANI
[→continua]
Andatovi Francesco all'istante, e adorato il divin Redentore che vi trovò fatto visibile a' suoi occhi, mentre il pregava a fargli conoscere il giorno più opportuno per l'lndulgenza, ebbe in risposta, che dessa dovea cominciare al dopo pranzo del giorno in cui s. Pietro fu liberato dalla carcere, e durare fino alla sera del giorno susseguente. Sparita la visione, andò Francesco dal Papa per raccontargli l'accaduto. E siccome la sua narrazione era autenticata dalla presentazion delle rose che solo per miracolo si
potevano trovare in quella stagione, così Onorio Ill, non solo gli accordò la Bolla implorata, ma ordinò ancora che i sette vescovi delle città più vicine, cioé d'Assisi, di Perugia, di Todi, di Spoleto, di Foligno, di Nocera e di Gubbio, vi si recassero il primo giorno di Agosto per farne la solenne pubblicazione, il che avvenne fra un concorso sterminato di popolo a cui s. Francesco medesimo fece conoscere con apposito discorso la preziosità della grazia ottenuta.
[…]
(Manuale di Filotea del sacerdote milanese Giuseppe Riva)
STORIA DEL PERDONO D'ASSISI
A poco più d'un miglio da Assisi città di Romagna presso Perugia, fino dall'anno 352, fu da quattro pii eremiti innalzata una piccola cappella in onor di Maria. Data nel sesto secolo ai Padri Benedettini, fu ampliata ed abbellita, non che dotata di una piccola porzion di terreno, d'onde le venne il nome di
Porziuncula; a cui, per le apparizioni degli Angioli in progresso di tempo avvenutevi, fu sostituito quello di S. Maria degli Angioli. S. Francesco detto serafico che diede tanto lustro ad Assisi in cui ebbe i natali frequentò da fanciullo codesta piccola chiesa: e vedendola derelitta e cadente, la domandò e la ottenne dal benedettino Abate P. Tebaldo, e si occupò con molta premura a ristaurarla; e fabbricatasi in sua vicinanza una piccola abitazione, la preferì a qualunque altro luogo per farvi la propria dimora: tanto più che, dopo avervi abitato per due anni senza la compagnia di alcuno, sentendo un giorno al Vangel della Messa la raccomandazione di Cristo ai proprii discepoli di non portar nei loro viaggi né denaro, né bissacca, né abiti, né scarpe , nė bastone, prese queste parole per norma della sua vita e per prima regola del nuovo Ordine dei Minori da lui recentemente instituito onde zelar la gloria di Dio e la santificazione delle anime.
Fu in questo suo domicilio che nell'anno 1221, una notte gli apparve un Angelo e lo avvisò di recarsi subito al vicino oratorio, dacché ivi lo attendevano Gesù Cristo e la Vergine con numeroso corteggio di Angioli.
A questo annunzio, tripudiante di gioja, andò Francesco nella nuova cappella; e appena vi scese, che vide, come gli era stato predetto in mezzo a un gran corteggio di Angioli, Gesù Cristo insieme alla Vergine che amorosamente lo incoraggiava a dimandargli quella grazia che egli credesse più opportuna non solo per Frati del nuovo suo Ordine, ma ancora per tutti quelli che visitassero quella chiesa. Il serafico patriarca più premuroso del bene spirituale che di quello temporale, domandò che chiunque andasse a visitare quella piccola chiesa potesse avere
un'Indulgenza Plenaria di tutti quanti i proprii peccati, quando presso approvato sacerdote, ne avesse fatto sincera confessione. Gesù Cristo mostrò il più vivo aggradimento per tal dimanda; e gli impose di andar dal Papa per raccontargli la avuta visione, e pregarlo d'accordargli con suo decreto questa Plenaria Indulgenza. Stupì a tal dimanda il pontefice Onorio III, che allor si trovava in Perugia, e a cui, appunto per questo, potè facilmente parlare il Santo; ma pur vi aderì, per quanto a principio gli paresse poco conveniente la concessione di un’Indulgenza non mai accordata prima di lui, cioè una Indulgenza Plenaria, libera, universale, perpetua, come era quella che domandava Francesco. Volendo però dargli in proposito
l'opportuno diploma, Francesco lo ricusò, dicendo che Iddio medesimo avrebbe pensato ad autenticargli questo favore, dacché chi aveva cominciato l'opera, si sarebbe dato premura di renderla intera e compita. Ed ecco come venne a verificarsi quanto si predisse dal Santo.
Siccome per la sopraddetta Indulgenza non era stabilito alcun giorno particolare, cosi san Francesco pregò il Signore a fargli conoscere in proposito la sua volontà. Nè rimasegli deluso nella sua aspettazione. Al principio dell’anno 1223, mentre trattenevasi in orazione nella suddella cappella, si trovò agitato da bruttissima tentazione. Per trionfarne compitamente, egli si spogliò de' suoi abiti, e si ravvolse in un vicino cespuglio di pungentissime spine. Piacque tanto al Signore questo eroismo il compensò con tre prodigi. Il primo fu quello di coprire il serafico patriarca di un nuovo abito bianco. il secondo che tra le spine spuntarono improvvisaniente le più belle rose, ad onta del rigore della stagione, dacché era il mese di Gernajo: il terzo che alcuni angioli che il ricrearono col loro canto, lo avvisarono di tornare alla chiesa, perchè ivi lo attendeva Gesù Cristo colla sua ss. Madre.
[segue→]
Allora Giovanni portò la sua mano davanti l'immagine di Maria, che teneva nel privato suo oratorio, e applicandola al luogo del suo braccio, dove naturalmente doveva restare unita, pieno di una viva confidenza le disse: Eccovi, o cara Madre, la mano, che io ho perduta per difendere il vostro onore nelle immagini vostre, e del vostro divin Figlio. Deh! intercedete, ve ne supplico, presso il vostro Figlio medesimo, perchè mi sia restituita in guisa, che io possa proseguire scrivendo a sostenere la vostra causa, e quella della cattolica fede. In questa affettuosa e replicata preghiera fu sorpreso come da un leggier sonno, in cui gli parve di vedersi d'appresso la gran Vergine rappresentata nel quadro , che con un dolce sorriso gli diceva: Giovanni, ti si accorda la grazia che brami, e fin d'ora potrai disporre della tua mano come a te piacerà; ma ricordati d'impiegarla, secondo la tua promessa, nel combattere co’ tuoi scritti l'empietà di coloro, che con sì indegni strapazzi oltraggiano le nostre immagini. Risvegliato Giovanni trova la mano perfettamente riunita al braccio col libero uso a piegarla e volgerla come per l'addietro, ma con un piccol cerchio sanguigno intorno al luogo dove ricevette il taglio. Tutta la città fu sorpresa a tale miracolo. Il Califfo stesso mando tosto a chiamarlo a se, e volle egli stesso esaminare la mano, ed accertarsene co' proprj suoi occhi. Gli chiese in appresso perdono del suo trasporto, e adoperò le più efficaci persuasive per ritenerlo in corte nell'antico suo impiego. Ma Giovanni tanto pregò e supplicò, che ne ottenne il congedo, e distribuito l'ampio suo patrimonio alle Chiese, ai poveri ed ai parenti, si ritirò nel monistero di S. Sabba, dove fatto Sacerdote proseguì a scrivere le bellissime sue opere contro l'eresia degli iconoclasti, e ad onore della dolce sua benefattrice Maria.
Ossequio.
Ritiratevi nella vostra stanza, e prostrato d'innanzi alla sacra immagine di MARIA proponetele di volerla amar sempre come vostra dolcissima Madre, e come vostra Benefattrice, e recitatele la seguente formola d'offerta: O Domina mea Sancta MARIA, me in tuam benedictam fidem, et singularem custodiam, et in sinum misericordiæ tuæ, hodie, et quotidie, et in hora exitus mei, animam meam, et corpus meum tibi commendo: omnem spem meam, et consolationem meam, omnes angustias, et miserias meas, vitam, et finem vitæ meæ tibi committo; ut per tuam sanctissimam intercessionem, et per tua merita omnia mea dirigantur, et disponantur opera secundum tuam tuique Filii voluntatem.
Giaculatoria.
Santa MARIA Madre di Dio pregate per me peccatore adesso, e nell’ora della mia morte.
XXX GIORNO.
Della divozione verso la Madonna.
I. Può bene strapparsi il cuore dal petto chi l'ha duro per MARIA: un cuor, che non l'ama, è indegno di vivere, e di amar cos'alcuna. Dio non poteva fare una creatura più eccellente, più amabile, e più buona per me. Quale stima, qual amore, qual fiducia non le debbo io mai?
II. Quando per mia disgrazia tutte le altre mie divozioni cessassero, conserverò almen questa sino alla morte, e per quanto gravi siano i miei disordini, avrò ricorso a MARIA Santissima per ottenere colla sua intercessione la grazia di una vera conversione. Ancor che fossi per cader nell'inferno, spererò nella Regina del Cielo. Ah! che niuno può perire tra le braccia di MARIA.
III. Al Trono di MARIA han ricorso i più gran peccatori nelle loro indigenze. Contro la giustizia di Dio non v’è più efficace rifugio, che la misericordia della Madre di Dio. Essa pone ogni sua gloria nel farci del bene, e reputa una parte de la sua felicità nel Cielo l'ottener grazia ai peccatori più induriti. E che non farà poi per i suoi servi fedeli? Questa Madre di misericordia, questa buona Madre potrà mai risolversi a sottoscrivere la loro condanna? Son già mille ottocento e più anni, che siamo in possesso della sua bontà: ah! non sarà mai, che essa cambj condotta, e cominci a deluder le nostre speranze. Il più gran torto, che le possiam fare, la più gran disgrazia, che possa accaderci, sarebbe di non più invocarla, e di non contar più su la sua pietà. Se mai cessassi di confidare in MARIA, dovrei tenermi per perduto.
Consacratevi di nuovo interamente al servigio della Vergine Santa, e ditele dal fondo del cuore:
Dominare nostri tu, et filius tuus. Jud. 8.
Regna sopra di noi, o MARIA, insieme col tuo Figlio.
MARIA
O nomen, sub quo nemini desperandum. S. Aug.
O nome, sotto di cui niuno dee disperar della sua salvezza.
A crescere in noi la divozione verso questa gran Madre sovvengavi di quella singolarissima grazia così celebre nelle Storie Ecclesiastiche, che per intercessione di Maria ottenne S. Gio. Damasceno. Questi fervido cristiano, e ancor secolare, ma fornito di ogni scienza profana e sacra, fu costretto di accettare nella Corte di Hisiam Califfo della Persia il luminoso posto di Segretario del reale Consiglio. Pieno di zelo per la Cattolica fede seppe trovar tempo nel suo impiego di scrivere un'efficacissima lettera in difesa del culto delle sagre immagini allora perseguitato nella Chiesa d'Oriente da Leone Isaurico. Leone non sapendo come altrimenti vendicarsi dell'Autore prese uno scrittore abilissimo ad imitare e mentire ogni carattere, e compose una finta lettera da Giovanni a se diretta, nella quale invitavalo a sorprendere colle sue truppe la città di Damasco, mentre trovandosi sfornita, e mal difesa l'avrebbe tosto sottomessa, e si acquisterebbe l'immortale onore di avere liberati li cristiani dal giogo dei Saracini. Questa artificiosa, e calunniosa lettera mandò al Califfo Hisiam inchiusa in una sua, nella quale a lui spiegava i sentimenti della sua leale amicizia, a prova della quale inviava a lui medesimo la lettera genuina del traditore, che aveva nella stessa sua corte, e nel principale suo ministro. Arse immantinenti di furore il Califfo, e benchè Giovanni protestasse la sua innocenza, e chiedesse di sospendere per qualche tempo il giudizio per dare le prove della lettera contraffatta, e del tradimento a lui ordito, volle il Califfo, che subitamente gli fosse tagliata la mano destra, e sospesa nella pubblica piazza a terrore di tutto il popolo. La sentenza fu tosto eseguita, e Giovanni si ritirò dolente, ed umiliato nella sua casa. Giunta la sera, mandò Giovanni a supplicare il Califfo, che poichè avevalo voluto trattare con tanto rigore senza ascoltare le prove della sua innocenza, volesse almeno accordargli la grazia di ritirare presso di se la sua mano recisa, e che stava tuttora esposta sulla pubblica piazza. Hisiam calmato al quanto dal suo primo furore gliela accordò senza difficoltà.
A S. BENEDETTO ABATEI. Per quell'amore straordinario che voi, o gran patriarca s. Benedetto , aveste al ritiro ed alla mortificazione, per cui in età di quindici anni vi seppelliste in una grotta nel deserto di Subiaco, ove non contento d'alimentarvi di sole radici, di dormire sul nudo sasso, vi tormentaste ancora con uno spaventoso cilicio da voi portato fino alla morte, ottenete a noi tutti la grazia di abborrir sempre le pompe ed i tumulti del mondo seduttore e di applicarci continuamente alla annegazione della volontà ed alla mortificazion della carne.
Gloria.
II. Per quell'eroica intrepidezza con cui voi, o gran patriarca s. Benedetto, sprezzaste tutti gli artificii del demonio che tentò con istrepiti e con fantasmi di allontanarvi dalla vostra solitudine, e per quella singolare vittoria che riportaste sopra le cattive immaginazioni, gettandovi perfino in mezzo alle ortiche ed alle spine per esserne liberato, ottenete a noi tutti la grazia di ribattere sempre tutti gli assalti dell'infernale nemico, e di essere sempre disposti a tollerare ogni male, anzichè contaminare con un sol peccato l'anima nostra.
Gloria.
III. Per quella generosità con cui voi, o gran patriarca s. Benedetto, perdonaste ai religiosi vostri sudditi di Vicovarro, allora quando, dopo avervi eletto a loro superiore, presero a perseguitarvi nel modo il più indegno, fino a tentare il vostro avvelenamento, e per quel grande miracolo che Dio operò a vista di tutti mandando in pezzi, dietro la vostra benedizione, quel vetro che conteneva la micidiale bevanda, ottenete a noi tutti la grazia di soffrir sempre in pace le persecuzioni e le disgrazie con cui piacesse al Signore di provarci nei brevi giorni di nostra vita.
Gloria.
IV. Per quello zelo veramente apostolico onde voi, o gran patriarca s. Benedetto, spezzaste gli idoli, atterraste i templi, bruciaste i boschi che tenevano gli abitatori di Monte Cassino fra le tenebre del paganesimo, e stabiliste in tutti quei dintorni la fede di Gesù Cristo, indi gettaste colla fabbricazione del vostro monastero i fondamenti di quel grand'Ordine che diede alla santa Sede più di quaranta pontefici, al sacro Collegio più di duecento cardinali, alla Chiesa più di tremila sanli canonizzati, oltre infiniti coltivatori alle lettere ed alle scienze, ottenete a noi tutti la grazia d'impiegarci con ogni sforzo possibile a procurare il vantaggio così temporale come spirituale di tutti i nostri fratelli.
Gloria.
V. Per quel lume soprannaturale onde voi, o gran patriarca s. Benedetto, scopriste l'inganno dello scudiere che si era a voi presentato colle insegne di Totila re dei Goti, e a Totila stesso rivelaste ciò che doveva succedergli nei successivi nove anni, e la morte che doveva colpirlo nel decimo, quindi ai vostri Religiosi manifestasle il giorno del vostro trapasso all'eternità, ottenete a noi tutti la grazia di essere sempre come voi umili, mortificati e fervorosi, onde ricevere da Dio i lumi opportuni a ben dirigerci nella via della santità e al sospirato conseguimento di nostra elerna salute.
Gloria.
INNO A S. GIUSEPPE
Composto in latino ed in italiano da mons. Giuseppe Riva, Penitenziere della Metropolitana di Milano (metà sec. XIX)
Versione italiana
Nato è Giuseppe; esultino
La terra insieme e il ciel:
Di Cristo e della Vergine
Fia guardia ognor fedel.
Santa è la sua progenie,
Regal la sua tribù,
Maggiore d'ogni encomio
Per pregi e per virtù.
Nelle sue mani un arido
Bastone germogliò
E sposo a madre vergine
Il ciel lo dichiarò.
Se di Maria lo angustia
L'inturgidito sen
Scioglie ogni dubbio un angelo
Che in sogno a lui sen tien.
Le stelle e i Cori Angelici,
I Magi ed i Pastor;
Padre nutrizio il chiamano
Dell'eternal Signor.
Invan l'insegue il barbaro
Acciar d'un empio Re:
Ch'ei salva in terra estrania
L’Autor di nostra fe’.
Scorso un settennio ei sentesi
Chiamato al patrio suol,
Ove è da Cristo suddito
Temprato ogni suo duol.
Che, se in Sion smarritolo,
Tre giorni il ricercò,
Con somma gioia, in disputa
Fra i dotti, il ritrovò.
Giunto all' estremo anelito,
Non sa che sia timor:
Ché in mano a morte spuntasi
Il dardo feritor.
E come no, se vegliano
Al suo agonizzar
Chi della vita è l'arbitro,
Chi della grazia è il mar?
Appena l'alma involasi,
Al suo corporeo vel,
Che in sen d'Abramo esultano
L'alme anelanti al ciel.
Chè intendon vicinissimo
Il Redentor divin
L'eterne porte a schiudere
Del gaudio senza fin.
Deh per l’eterno Genito
Che t'ebbe a padre ognor,
Compi , o Giuseppe, i fervidi
Voti del nostro cor.
E per Colei che or domina
Sul mondo e sull'Empir
Danne un felice vivere,
Un placido morir.
Col tuo poter ci libera
D'ogni empia voluttà,
Onde abbiam solo ad ardere
Di santa carità.
E quando batta I'ultima
Ora per noi fatal,
Tu con Maria sollevane
Al giubilo immortal.
A S. TOMMASO D’AQUINO
I. O glorioso s. Tommaso, che, per assecondare la voce di Dio il quale vi chiamava allo stato religioso, sopportaste con eroica mansuetudine la più ingiusta persecuzione che vi mossero i più stretti parenti, fino a fare in pezzi il vostro abito e tenervi per due anni rinchiuso in una torre, otteneteci ve ne preghiamo, la grazia di disprezzare tutte le lusinghe e le minaccie del mondo per camminare fedelmente a seconda delle divine inspirazioni.
Gloria.
II. O glorioso s. Tommaso, che per la vostra generosità nell'allontanare da voi con un tizzone di fuoco quella femmina sfacciata che tentò di macchiare la vostra innocenza, e nel consecrarvi irrevocabilmente al Signore con voto di perpetua verginità, meritaste di sentirvi dagli angioli stringere i fianchi e di essere poi sempre liberato dagli assalti della ribelle concupiscenza, otteneteci, ve ne preghiamo, la grazia di fuggire con ogni sollecitudine e di resistere sempre coraggiosamente a tutto quello che potesse macchiare menomamente i nostri sensi e il nostro cuore.
Gloria.
III . O glorioso s. Tommaso, che nel solo spazio di venti anni percorreste in qualità di maestro le più famose università dell'Europa, convertiste coi vostri discorsi un numero infinito di peccatori e d'infedeli, dilucidaste coi vostri scritti tutti i dogmi, tutti i precetti, tutte le massime del Cristianesimo e ne combatteste tutti i nemici, e, malgrado così serie e così molteplici occupazioni , non lasciaste mai di impiegare ogni giorno molte ore nell'orazione , e di mortificare la vostra carne colle più austere penalità, otteneteci, ve ne preghiamo, la grazia d'impiegare sempre in opere di santificazione tutti i momenti di nostra vita, e di non tralasciare giammai quelle pratiche di pietà e di penitenza che sono indispensabili a conservarci e farci crescere ogni giorno nello stato della giustizia.
Gloria.
IV. O glorioso s. Tommaso, che facendo sempre vostra delizia la divozione la più fervorosa a Gesù crocifisso e sacramentato ed alla santa vergine Maria e, promovendone il culto e zelandone la gloria, otteneste sempre con sicurezza l’esaudimento di tutte le vostre suppliche, otteneteci, ve ne preghiamo, la grazia che mettendo anche noi in Gesù ed in Maria tutta la nostra fiducia, e professandone sincera la divozione, ne riportiamo continuamente lume nei dubbii, difesa nei pericoli, consolazione negli affanni e il necessario soccorso in tutti i nostri bisogni.
Gloria.
V. O glorioso s. Tommaso, che assicurato da Gesù Cristo di non aver commesso alcun errore in tutti i vostri insegnamenti, e interrogato di qual mercede foste voi desideroso, nient'altro gli domandaste fuorché il suo amore in questa vita e il suo possesso nell'altra, otteneteci, ve ne preghiamo, la grazia di non cercar mai altro compenso in tutte le nostre fatiche fuorché la grazia di perseverare e di crescere nel suo amore fino alla morte, onde avere la bella sorte di partecipare alla sua gloria per tutta l’eternità.
Gloria.
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