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NOVENA IN PREPARAZIONE ALLA FESTA DELLA DEDICAZIONE DI SAN MICHELE ARCANGELO, PATRONO DELLA CITTÀ E DEL REGNO DI NAPOLI.
(20 - 28 Settembre)
℣. Deus, ☩ in adiutorium meum intende.
℞. Domine, ad adiuvandum me festina.
Gloria Patri.
[℣. Provvedi, ☩ o Dio, al mio soccorso.
℞. Signore, affrettati ad aiutarmi.
Gloria al Padre.]
Terzo giorno.
Gloriosissimo arcangelo San Michele, che costituito capo e difensore della cattolica Chiesa, la rendeste sempre trionfatrice della cecità dei gentili colla predicazione degli Apostoli, della crudeltà dei tiranni colla fortezza dei Martiri, della malizia degli eretici colla sapienza dei Dottori, e del mal costume del secolo colla purità delle Vergini, la santità dei Pontefici e la penitenza dei confessori, difendetela continuamente dagli assalti de' suoi nemici, liberatela dagli scandali de' suoi figliuoli, affinché, mostrandosi sempre in aspetto pacifico e glorioso, ci teniamo sempre più fermi nella credenza de' suoi dogmi e perseveriamo sino alla morte nell'osservanza de' suoi precetti.
Gloria Patri.
℣. Ora pro nobis, sancte Michaël Archangele.
℞. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus.
Da nobis, omnipotens Deus, beati Michaëlis Archangeli honore ad summa proficere; ut cujus in terris gloriam prædicamus, ejus quoque precibus adjuvemur in cœlis.
Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.
℞. Amen.
[℣. Prega per noi, o San Michele Arcangelo.
℞. Affinché siam fatti degni delle promesse di Cristo.
Preghiamo.
Concedi a noi, Onnipotente Dio, di progredire alle cose somme in onore di San Michele Arcangelo; come noi predichiamo la sua gloria in terra, noi siamo sostenuti anche dalle sue preci in cielo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
℞. Amen.]
Giaculatoria a San Michele Arcangelo.
O glorioso, o forte
Arcangiol San Michele,
Siatemi in vita e in morte
Proteggitor fedele.
Dalle «Istruzioni» di san Colombano, Abate.
(Istr. 13 su Cristo fonte di vita, 2-3; Opera, Dublino, 1957, 118-120)
Dio è tutto per noi.
Ascoltiamo, o fratelli, l'invito, con cui la Vita stessa, che è sorgente non solo di acqua viva, ma anche fonte di vita eterna e di luce, ci chiama a sé. Da lui infatti provengono la sapienza, la vita, la luce eterna. L'autore della vita è sorgente della vita, il creatore della luce, la fonte stessa della luce. Non curiamoci delle cose che ci circondano, ma puntiamo lo sguardo verso l'alto, verso la sorgente della luce, della vita e dell'acqua viva. Facciamo come fanno i pesci che emergono nel mare attratti dalla fonte luminosa. Eleviamoci per bere alla sorgente d'acqua viva che zampilla per la vita eterna (cfr. Joann 4:14).
Oh, se tu, o Dio misericordioso e Signore pietoso, ti degnassi di chiamarmi a questa sorgente, perché anch'io, insieme con tutti quelli che hanno sete di te, potessi bere dell'acqua viva che scaturisce da te, viva sorgente! Potessi inebriarmi della tua ineffabile dolcezza senza staccarmi mai più da te, tanto da dire: Quanto è dolce la sorgente dell'acqua viva; la sua acqua che zampilla per la vita eterna non viene mai a mancare!
O Signore, tu stesso sei questa fonte eternamente desiderabile, di cui continuamente dobbiamo dissetarci e di cui sempre avremo sete. Dacci sempre, o Cristo Signore, quest'acqua perché si trasformi anche in noi in sorgente di acqua viva che zampilli per la vita eterna!
Domando certo una grande cosa; chi non lo sa? Ma tu, o re della gloria, sai donare cose grandi e cose grandi hai promesso. Nulla è più grande di te: ma tu ti sei donato a noi e ti sei immolato per noi.
Per questo ti preghiamo di farci conoscere quello che amiamo, poiché nulla cerchiamo di avere all'infuori di te. Tu sei tutto per noi: la nostra vita, la nostra luce, la nostra salvezza, il nostro cibo, la nostra bevanda, il nostro Dio. Ti prego, o Gesù nostro, d'ispirare i nostri cuori col soffio del tuo Spirito e di trafiggere col tuo amore le nostre anime perché ciascuno di noi possa dire con tutta verità: Fammi conoscere colui che l'anima mia ama (cfr. Cant 1:6 volg.); sono infatti ferito dal tuo amore.
Desidero che quelle ferite siano impresse in me, o Signore. Beata l'anima trafitta dalla carità! Essa cercherà la sorgente, ne berrà. Bevendone, ne avrà sempre sete. Dissetandosi, bramerà con ardore colui di cui ha sempre sete, pur bevendone continuamente. In questo modo per l'anima l'amore è sete che cerca con brama, è ferita che risana. Il Dio e Signore nostro Gesù Cristo, medico pietoso, si degni di piagare con questa salutare ferita l'intimo della mia anima, egli che insieme col Padre e con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen.
MEDITAZIONE QUOTIDIANA
Dalle «Istruzioni» di san Colombano, Abate.
(Istr. 13 su Cristo fonte di vita, 1-2; Opera, Dublino, 1957, 116-118)
Chi ha sete venga a me e beva.
Fratelli carissimi, ascoltate attentamente. Ciò che vi dirò è necessario al vostro bene. Sono verità che ristoreranno la sete della vostra anima. Vi parlerò infatti della inesauribile sorgente divina. Però, per quanto sembri paradossale, vi dirò: Non estinguete mai la vostra sete. Così potrete continuare a bere alla sorgente della vita, senza smettere mai di desiderarla. È la stessa sorgente, la fontana dell'acqua viva che vi chiama a sé e vi dice: «Chi ha sete venga a me e beva» (Joann 7:37).
Bisogna capire bene quello che si deve bere. Ve lo dica lo stesso profeta Geremia, ve lo dica la sorgente stessa: «Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, dice il Signore» (Jer 2:13). È dunque il Signore stesso, il nostro Dio Gesù Cristo, questa sorgente di vita che ci invita a sé, perché di lui beviamo. Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta della parola di Dio; chi lo ama ardentemente e con vivo desiderio. Beve di lui chi arde di amore per la sapienza.
Osservate bene da dove scaturisce questa fonte; poiché quello stesso che è il Pane è anche la Fonte, cioè il Figlio unico, il nostro Dio Cristo Signore, di cui dobbiamo aver sempre fame. È vero che amandolo lo mangiamo e desiderandolo lo introduciamo in noi; tuttavia dobbiamo sempre desiderarlo come degli affamati. Con tutta la forza del nostro amore beviamo di lui che è la nostra sorgente; attingiamo da lui con tutta l'intensità del nostro cuore e gustiamo la dolcezza del suo amore.
Il Signore infatti è dolce e soave: sebbene lo mangiamo e lo beviamo, dobbiamo tuttavia averne sempre fame e sete, perché è nostro cibo e nostra bevanda. Nessuno potrà mai mangiarlo e berlo interamente, perché mangiandolo e bevendolo non si esaurisce, né si consuma. Questo nostro pane è eterno, questa nostra sorgente è perenne, questa nostra fonte è dolce.
Per tale motivo il profeta afferma: «Voi tutti assetati, venite alla fonte» (Is 55:1). Questa fonte è per chi ha sete, non per chi è sazio. Giustamente quindi chiama a sé quelli che hanno sete, che ha dichiarati beati nel discorso della montagna. Questi non bevono mai a sufficienza; anzi quanto più bevono tanto più hanno sete.
È dunque necessario, o fratelli, che noi sempre desideriamo, cerchiamo e amiamo «la fonte della sapienza, il Verbo di Dio altissimo» (Eccli 1:5 volg.), nel quale, secondo le parole dell'Apostolo, «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2:3).
Se hai sete, bevi alla fonte della vita; se hai fame, mangia di questo pane di vita. Beati coloro che hanno fame di questo pane e sete di quest'acqua, perché, pur mangiandone e bevendone sempre, desiderano di mangiarne e di berne ancora. Deve essere senza dubbio indicibilmente gustoso il cibo che si mangia e la bevanda che si beve per non sentirsene mai sazi e infastiditi, anzi sempre più soddisfatti e bramosi. Per questo il profeta dice: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Ps 33:9).
MEDITAZIONE QUOTIDIANA
Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, Vescovo e Martire.
(Nn. 18. 22; CSEL 3, 280-281, 283-284)
Dopo il cibo, si chiede il perdono del peccato.
Dicendo la preghiera del Signore, noi chiediamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Ciò può essere inteso sia in senso spirituale che in senso materiale, poiché l'uno e l'altro significato, nell'economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro lo è. E come diciamo «Padre nostro», perché è Padre di coloro che intendono e credono, così invochiamo anche il «pane nostro», poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo.
Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane. Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza. Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato il pane celeste, e così, privati della comunione, veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli stesso ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Joann 6:51).
Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. È evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l'Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall'Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. È un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signore che non avvenga. È lui stesso che pronunzia questa minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Joann 6:53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro pane, cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina.
Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: «E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe.
Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l'animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i peccati.
Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c'è in noi la verità. Se invece confesseremo i nostri peccati, il Signore è fedele e giusto, e ci rimette i peccati (cfr. 1Joann 1:8). Nella sua lettera ha unito assieme l'una e l'altra cosa: che noi dobbiamo pregare per i nostri peccati e che otteniamo indulgenza quando preghiamo. Con questo, ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono.
**SAN LEONE II, PAPA E CONFESSORE
Semidoppio.
Paramenti bianchi.Leone II, siciliano di origine, fu sommo Pontefice dal 17 agosto 382 al 3 luglio 383. Le fonti ce lo descrivono come dotto nelle scienze sacre e profane e versatissimo nella lingua latina come nella greca; ed era ancora in possesso di una splendida eloquenza e di buone capacità poetiche e musicali, tanto che si può ipotizzare una sua direzione della schola cantorum del Laterano e perfezionò le melodie degli Inni sacri e dei Salmi nella Chiesa. Approvò e tradusse in latino gli atti del Sesto Concilio tenutosi a Costantinopoli (380-381) sotto la presidenza dei legati della Sede apostolica, alla presenza dell'imperatore Costantino IV, dei due patriarchi di Costantinopoli e d'Antiochia, e di cento settanta vescovi.
In questo concilio furono condannati Ciro, Sergio e Pirro, che insegnavano esservi in Cristo una sola volontà ed operazione (monotelismo); inoltre fu condannato papa Onorio I “che, anziché estinguere sul nascere la fiamma dell'eresia, come si conviene all'autorità apostolica, la alimentò con la sua trascuratezza” (Lettera ai vescovi della Spagna, PL 96, 414). Egli represse l'orgoglio dei vescovi di Ravenna, che, forti dell'appoggio degli esarchi, non obbedivano alla Sede apostolica. Per questo decretò che l'elezione del clero di Ravenna sarebbe stata nulla, se non fosse stata approvata dall'autorità del Romano Pontefice.
Amplificò lo splendore delle sacre cerimonie per onorare degnamente la maestà di Dio e per istruire il popolo; parimenti restaurò alcune chiese, deponendovi anche onorevolmente i corpi dei Martiri. Non dimenticò infine i poveri, verso i quali fu vero padre amoroso: poiché egli non soltanto col danaro, ma coll'opera altresì, colla fatica, coi consigli sollevava la miseria e l'abbandono degl'indigenti, delle vedove e dei pupilli. Mentre spronava tutti non meno colla parola che coll'esempio ad una vita pia e santa, s'addormentò nel Signore, dopo dieci mesi e diciassette giorni di pontificato, e venne sepolto nella Basilica di San Pietro il 3 luglio 383. In un'ordinazione tenuta nel mese di giugno creò nove preti, tre diaconi e ventitré vescovi per luoghi diversi.
**Pensieri ed affetti sopra la Passione di Gesù Cristo per ogni giorno dell'anno, ricavati dalla Divina Scrittura e dai Santi Padri per opera di Fr. Gaetano Maria da Bergamo cappuccino (Venezia 1811)
Gesù Cristo è condotto al Presidente Pilato.**
Punto IV - Non più si è fatto nella città di Gerusalemme un accompagnamento tutt'insieme di tant'onore, e di tanta ignominia, come questo che or si fa al Figlio d'Iddio dalla casa del Pontefice Caifa a quella del Presidente Pilato. Vi sono in esso tutt'i Principi della Sinagoga, e tutt'i Sacerdoti, e gli Scribi, ed i Farisei, ed i graduati, che fanno una gran moltitudine. Qual onore nella comitiva di tanti riguardevoli personaggi! Ma qual ignominia altresì nel vedersi il modo, con cui l'istesso Figlio d'Iddio è accompagnato, mentre non si fa altro in quel viaggio di una mezz' ora, che insultarlo con vituperosi improperj! Vien qua, o Ladrone: va là, o Stregone: or si vedrà quanto vale la tua Sapienza. Questi con altri simili sono gli elogj, che gli danno; e l'Innocente cogli occhi bassi si umilia, come se fosse un vero colpevole.
Riflessione - E qual'ignominia ancora nel sapersi, per qual cagione tutti que' primati siensi mossi ad accompagnarlo! Vanno tutti insieme; perché non si fidano gli uni degli altri; ed avendo paura vi sia forse qualche segreto uomo dabbene, che possa difender Gesù, non vogliono che veruno parli per Lui. Vanno tutti insieme, per più accreditare le ingiuste accuse, e porre Pilato cogli alti clamori in assoluto impegno di condannarlo. Oh quanta malignità di un odio il più protervo che possa darsi!
Ma entra, Anima mia, nel Cuore di Gesù a contemplar le sue angoscie; e se hai per Lui qualche scintilla di Amore, abbi ancora un qualche senso di pietà a compatirlo. E che vuol dire, esser tu sì cruda, e sì dura, che tanti disonori, e dolori dell'afflittissimo Salvatore non ti commovono niente? Chi ama, necessariamente compatisce: e per questo è che la compassione ti manca, perché ti manca l'Amore.
Colloquio - Oh così non fosse, come così è, mio Gesù! Il vostro Amore mi manca; ed essendo questo che più di tutto dispiace a Voi, a' Vostri piedi io mi getto, e mi protesto, che quest'istesso mancamento di Amore grandemente dispiace a me. Ah, Voi patir tanto per me! e non esiger altro da me, se non che vi ami! ed io non amarvi! Io non amar Voi, che mi avete nella Vostra Passione cotanto amato! Mi dolgo della mia durezza: e più della mia malizia, che è quella che mi tiene il cuore indurito. Deh! se non vi amo, aggradite però, ed ajutate il desiderio che ho di amarvi. Spero d'aver a conseguire una volta il Vostro Amore; e spero in Voi, non in me, che son poveretto, e meschino, e bisognosissimo del Vostro Amore.
Pratica- Farò atti di Amore, e di compassione, e se non so né amare, né compatire, mi dorrò delle mie freddure; e detesterò la mia accidia; ed invocherò la Divina Misericordia.
**Pensieri ed affetti sopra la Passione di Gesù Cristo per ogni giorno dell'anno, ricavati dalla Divina Scrittura e dai Santi Padri per opera di Fr. Gaetano Maria da Bergamo cappuccino (Venezia 1811)
Penitenza di San Pietro dopo il peccato.**
Punto IV - Nella Penitenza di San Pietro una circostanza è questa degna d'essere notata, che fu pronta, senza prolungazioni, o dimore. Siccome Pietro allorché fu chiamato dalla voce di Gesù Cristo all'Apostolato, immantinente lasciò tutto, e ubbidì: così ancora nel momento che Gesù Cristo or lo chiama con un cenno dell'occhio alla conversione, subito corrisponde. Nel mentre ch'Egli finisce di peccare la terza volta, il Salvatore lo chiama; e tra la chiamata alla Penitenza, ed il pentimento attuale non si frappone spazio di tempo.
Riflessione - Così deve farsi; e perché così vuole Iddio, che dopo il peccato ci convertiamo a Lui con tutta premura, e senza indugi: e perché non è lecito stare in peccato mortale né tampoco per un menomo istante, correndo l'obbligazione di tosto uscirne; perché in oltre quanto più in esso si sta, più cresce il male, e cresce ancora la difficoltà a liberarsene. È una Misericordia grandissima, che Dio si degni chiamare il Peccatore coll'esibizione delle sue grazie: ma è altresì un ingiurioso disprezzo della Divina bontà, il mancare di condiscendenza, ed avere della ritrosia a' suoi amorevoli inviti: Il dire: mi pentirò poi: mi emenderò poi: è anche sempre di pericolo estremo per l'anima; conciossiaché le può sopraggiungere un tempo, in cui essa brami la luce, e Dio la lasci involta nelle sue tenebre.
Colloquio - È degna d'essere immitata la puntualità di S. Pietro: ed è pur anche degna d'essere deplorata la cecità maliziosa della mia vita passata. Mio Dio, io mi dolgo di tutto quel tempo, in cui così a sangue freddo son già vissuto nel peccato mortale, ribelle, e ingrato alli Vostri lumi. E come io ho potuto, non dico per ore, ma per giorni, e per settimane sostenere la vostra ira, terribilmente sopra di me minacciosa? Rendo grazie alla vostra clemenza, che non mi ha fulminato, come ho meritato.
Ma anche adesso che protervia è la mia, a preservare in questi miei mali abiti di superbia, d'impazienza, di accidia, e di tanti altri; non ostante che Voi, mio Dio, mi chiamate, e mi sollecitiate più e più volte all'emendazione? Confesso essermi dovuto il rimprovero, che fa la vostra Sapienza alli reprobi: Vi chiamai e vi diedi la mano per ajutarvi, e non voleste: vi lascierò in abbandono. O Gesù, datemi una Vostra occhiata di quelle penetranti, che siete solito dare agli eletti; una Vostra occhiata, che sia accompagnata da qualcuna di queste grazie, alle quali Voi sapete che potrò resistere, ma non resisterò, e corrisponderò a fare in tutta la vostra Santissima volontà.
Pratica - Non devo aspettare, che la grazia faccia in me il tutto della conversione, ma conviene, che anch'io cooperi, applicando le potenze dell'anima, e facendo violenza alle mie prave inclinazioni.
E lo pregherete insieme di volgere il potere di esse ad ottenerci la grazia di vivere e morire nell'amore e fedeltà al Cuor suo sacratissimo, con rispondere ai suoi desideri sopra di noi senza resistenza. Se poteste mettere in libertà alcuna di quelle povere prigioniere, sareste bene avventurate di avere un'avvocata in cielo a perorare per la vostra salvezza».
IV. Preghiera al Cuor di Gesù per ogni sorta di bisogni. - «Fate sentire, o Cuore amabilissimo, il sommo vostro potere, a me ed a tutti i cuori capaci di amarvi, a' miei parenti ed a' miei amici, a tutte le persone raccomandatesi alle mie preghiere, o che pregano per me o a cui tengo particolari obbligazioni. Assistetele, ve ne supplico, nelle necessità loro. O cuore pieno di carità, ammollite i cuori induriti e alleviate le anime del purgatorio; siate il sicuro asilo degli agonizzanti e la consolazione di tutti gli afflitti e necessitosi. Infine, o Cuor di amore, siate a me tutto in tutte le cose; ma segnatamente nell'ora della morte siate il certo rifugio alla sbigottita anima mia, e ricevetela in quel punto nel seno della vostra misericordia. Amen».
Un terzo trascorso senza borbottamenti di disapprovazioni guarirebbe lo straziato mio cuore». Altre volte la Santa godette dell'apparizione di anime liberate cogli aiuti di sue preghiere e penitenze. Così ella ne scrive alla madre de Saumaise: «L'anima mia si sente compresa da gioia, così grande che stento a contenerla in me: permettete però, madre mia buona, che la comunichi al vostro cuore, che ne fa uno solo col mio e con quello di nostro Signore. Questa mattina, domenica del Buon Pastore, due delle mie amiche penanti, al mio svegliarmi, sono venute a dirmi addio, perché oggi appunto il sommo Pastore le accoglieva nel suo eterno ovile con più d'un milione di altre, in compagnia delle quali se ne andavano con cantici di allegrezza inesplicabili. L'una diceva e ripetevami incessantemente queste parole: L'amor trionfa, gioisce l'amore, l'amore in Dio sì gioconda. E l'altra: Beati i morti che muoiono nel Signore, e le religiose che vivono e muoiono nella esatta osservanza delle proprie regole! - Vogliono esse che io vi dica da parte loro, che la morte può ben separare gli amici, ma non disunirli. Se sapeste quanto l'anima mia ne fu trasportata di gioia, mentre loro favellando io vedeale a poco a poco immergersi ed inabissarsi nella gloria; come una persona che si annega in vasto oceano! Esse vi chieggono in ringraziamento all'augustissima Trinità un Te Deum, un Laudate e tre Gloria Patri. E pregandole io di sovvenirsi di noi, mi dissero per ultima parola, che l'ingratitudine non è mai entrata in cielo».
III. La Santa dà il modo di suffragare le sue buone amiche penanti. - In parecchie lettere il suo zelo si appalesa nei termini seguenti: «Per ciò che riguarda le mie buone amiche penanti nel purgatorio, è vero che sono a voi più obbligata del bene a lor procurato che se lo aveste fatto a me stessa. Spero che voi non mi negherete la grazia di procurare a tale defunto quindici Messe in onore del sacro Cuore, dopo le quali mi sembra che quegli sia per diventare presso Lui un potente avvocato per voi e per tutta la propria famiglia». Appena compiuto questo suo desiderio, ella riscrisse: «Per le quindici Messe fatte da voi celebrare vi ringrazio in luogo di quella povera anima che io credo al presente ricchissima di gloria in cielo, dove ben rimeriteravvi di tutte le vostre carità». Ella insegnava eziandio di rivolgersi in favore di quelle addolorate anime a nostro Signore «cui l'amor suo ritien prigioniero nel santissimo Sacramento, e per merito di tale prigionia, dicea, domandate a lui la libertà per le povere prigioniere nel purgatorio». Altre volte suggeriva di fare al medesimo fine diversi atti di virtù, per esempio, «Atti di purità d'intenzione da offerire a Dio in soddisfazione della sua giustizia, pagando colla purità del sacro Cuore la mancanza di purità d'intenzione in quelle povere anime, onde esse al presente sono in pena. Atti di silenzio interiore da unirsi a quello di Gesù nel suo Sacramento, a lui offerendo tutti i divini sacrifici che si celebrano nella santa Chiesa, ai quali voi pregherete i vostri angeli Custodi di assistere e di offerirli a Dio per placare la sua giustizia. Atti d'umiltà per riparare le umiliazioni principali sofferte dal Cuor di Gesù nella sua passione. Atti di carità, da unirsi alla carità ardente del sacro Cuore, per pagarne i difetti di quelle povere anime tribolate. Atti d'amor di Dio, di attenzione alla presenza di Dio, di mortificazione, di mansuetudine, di condiscendenza per le medesime intenzioni. Ma come la superbia è il debito più grosso, cosa voi farete quanti mai possiate atti di umiltà, unendoli a quelli del divin Cuore per pagare in favore di quelle povere afflitte che molto sono alleviate dalle Comunioni spirituali, in riparazione del mal uso fatto da loro delle sacramentali. La sera farete un piccol giro per entro il purgatorio in compagnia del sacro Cuore, a lui consacrando tutto ciò che avrete fatto, con preghiera di applicare i suoi meriti a quelle sante anime penanti.
**SAN SILVERIO, PAPA E MARTIRE
Semplice.
Paramenti rossi.**Silverio, figlio di papa sant'Ormisda che era sposato prima d'entrare negli Ordini, nacque verso il 480 presso Frosinone (alcune fonti indicano Ceccano) nella Campania. Alla morte di papa sant'Agapito I, avvenuta a Costantinopoli il 22 aprile 536, era già suddiacono della Chiesa di Roma. Fu creato Pontefice subito dopo sant'Agapito, l'8 giugno 536: la sua dottrina e santità rifulse nel perseguitare gli eretici, e la sua forza d'animo si rivelò nel mantenere il giudizio di sant'Agapito. Difatti, nonostante le reiterate istanze dell'imperatrice Teodora, si rifiutò di ristabilire Antimo di Trebisonda, che sant'Agapito aveva deposto dal vescovado di Costantinopoli come fautore dell'eresia di Eutiche (monofisismo). Perciò la donna irata ordinò a Belisario di mandare Silverio in esilio. Questi fu deportato nell'isola di Ponza, donde si dice che scrivesse in questi termini al vescovo Amatore: «Sono sostentato col pane della tribolazione e l'acqua dell'angoscia, ma né ho rinunziato né rinunzierò alla mia carica». E veramente, stremato in breve dagl'incomodi e dalle sofferenze, si addormentò nel Signore il 20 Giugno 537. Il suo corpo, trasportato a Roma e deposto nella basilica Vaticana, fu illustrato da molti miracoli.
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P.S. Selezionare rubriche Divino Afflatu e lingua italiana.
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