DARSI PACE - MARCO GUZZI

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Per contattare l'avv. Fusillo scrivere dal sito www.difendersiora.it/scrivici

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1 month, 1 week ago

La cosa che più mi colpiva di Paolo Ricca, anche mentre lo intervistavo, è la semplicità metodica e radicale del suo credere, del suo far essere quello che diceva. Non è tanto la lunga e importante carriera di teologo a doverci impressionare, quanto il taglio povero e netto - direi schiettamente acuto - col quale trasmetteva la sua grande sapienza cristiana a molti.
In questo senso amo citare un suo piccolo opuscolo del 1973, intitolato "L'identità protestante":
«Ma chi è in grado di valutare una crisi di fede? Noi intendiamo diversamente la crisi attuale: la intendiamo come la crisi che accompagna una svolta. Siamo, con questa crisi, a una svolta della nostra storia. Di questo è indispensabile prendere coscienza: il protestantesimo di domani non potrà essere soltanto la versione aggiornata di quello di oggi. La nostra speranza e la nostra preghiera è che la svolta verso la quale stiamo andando non sia un aggiornamento, ma una conversione».

Ecco il punto. Una crisi di svolta e di conversione, che riguarda in primo luogo le chiese cristiane intese come comunità spirituali in travaglio neo-natale. Dov'è finita oggi la temperatura antropologica che alimentava queste parole? Mentre la Chiesa romana si straccia le vesti per questioni etiche e sociali, dove sta la Forza, la Visione profetica e fondatrice necessaria alla conversione a se stessa della Chiesa universale? Nessuno ha nemmeno un po' da inorridire di fronte allo scandalo di una completa inerzia dell'ecumenismo ?
È mai possibile che, a dispetto di tutti i baci e abbracci, l'unica ragione ufficiale che tiene tutt'oggi separata la Chiesa cattolica da quella ortodossa sia il primato del vescovo di Roma? Ci rendiamo conto di quanto sia grave questo fatto?
A cosa serve tutta la pace e il buonismo laicista di questo mondo se la sostanza è e resta la separazione di fatto, la maschera "fluida" di un "va bene tutto", senza la benché minima incisività nella carne bruciante della storia?

Paolo Ricca, con tutti i suoi limiti umani, sapeva queste cose e ha provato a gridarle. Me lo disse una volta al telefono, con parole molto accese, mentre preparava il suo libro intitolato semplicemente "Dio".
Nella calura smisurata di questi giorni di agosto, lo dobbiamo dire:
la storia dell'Europa cristiana e mondiale è tutt'oggi lacerata e sanguinante per le sue ferite non curate. Mentre ovunque siamo sommersi da "dati" e da "fatti" fino a impazzire, la tremenda mancanza di storia è la mancanza di domanda, di vita e di spirito che ADESSO - negli istanti più intimi della nostra vita personale - ci logora e ci impedisce di essere noi stessi.

L'ebreo Walter Benjamin credeva che il vero storico fosse un profeta con lo sguardo rivolto all'indietro. Ma io mi chiedo:
chi è oggi abbastanza umano da sentirlo? In che direzione sta andando la nostra Decisione a questo proposito?
Il silenzio ovattato, stracolmo di baccano di questo mondo, è solo un momentaneo sfogo delle potenze cieche, che nulla hanno mai potuto contro quel Silenzio vero che è Canto dell'essere, nuovo Inizio inarrestabile di tutte le cose, già in atto nella storia.
È il Cristo delle cose, come amo chiamarlo. Il Cristo come modo e come risonanza del Tutto, in quell'Adesso in cui l'Eterno è già da sempre cominciato. E si fa mondo. Si fa me stesso, noi stessi.
E così sia.

Luca Cimichella

1 month, 1 week ago

« Per noi è importante che il livello spirituale e quello terapeutico siano collegati. La psicoterapia aiuta a liberarsi da modelli esistenziali sbagliati che condizionano anche la vita spirituale. La spiritualità aiuta a vedere le ferite anche come un'occasione di incontro con Dio e di nuova apertura verso gli uomini.

In occasione del convegno “pregare nel monachesimo” (1975) ebbero luogo conversazioni molto interessanti sulle esperienze dei primi monaci con la preghiera e la meditazione. Confrontammo poi queste esperienze con le forme orientali di meditazione e con la psicologia junghiana. Fu l'inizio di uno scambio d'opinioni, che dura ormai da anni, sul tema dell'eredità dei padri del deserto. Il nostro intento era quello di mettere a frutto nella nostra vita religiosa le esperienze fatte con la meditazione zen e la psicologia junghiana.

Il nostro attuale abate mi incaricò di tenere una conferenza sul tema "La purezza di cuore". Per prepararmi lessi alcuni testi dei monaci e li elaborai. Poiché la conferenza riuscì bene, la inviai al periodico benedettino Erbe und Auftrag (Eredità e compito). Poi la casa editrice Kaffke mi chiese se potevo ampliare un po' il saggio e pubblicarlo nella loro collana di saggi brevi. Lo stesso accadde con un altro tema che avevo elaborato per i religiosi: “Umiltà ed esperienza di Dio”. Quando, nel 1976, in occasione di un altro convegno discussi il tema “Preghiera e conoscenza di sé”, padre Fidelis Ruppert, che a quel tempo era ancora priore, e io convenimmo che avremmo potuto pubblicare noi stessi dei brevi saggi. Fu la nascita dei nostri opuscoli di Münsterschwarzach.

Sentivamo che la gente apprezzava la spiritualità del monachesimo primitivo che cercavamo di sviluppare per noi oggi sullo sfondo della psicologia junghiana. Questo interesse e i colloqui con i partecipanti ai corsi che offrivamo costituirono l'impulso principale che mi spinse a scrivere. »

? "La cura dell'anima. L'esperienza di Dio tra fede e psicologia" (Paoline, 2004) di Anselm Grun.

? scopri i libri della collana Crocevia, diretta da Marco Guzzi ?

? scopri i libri della collana Crocevia, diretta da Marco Guzzi ? https://www.paolinestore.it/in-vetrina/archivio/collana-crocevia.html

1 month, 2 weeks ago

Qualche giorno fa ho fatto un’escursione in montagna.
Ho percorso un dislivello di quasi 1000 metri in tre ore,
arrivando a 2000 metri, nel cuore delle Orobie.

Tutta in salita. Tutta di gambe e addominali bassi.
Il sentiero di montagna è analogo al percorso spirituale autentico.

All’inizio una voce dice: “Ma chi me lo fa fare?”.
Un’altra risponde:
“La voglia di esplorare qualcosa che non conosco, di vedere la bellezza”.

E allora parti, e inizi, un piede dopo l’altro, un momento dopo l’altro.
Ti fermi, riprendi fiato, e inizi a sentire il corpo che è refrattario
A superare i propri limiti. E capisci che è il corpo certo,
ma anche la mente. È la mente che non vuole fare fatica.

È la mente che non vuole spingersi oltre i propri confini abituali.

Ma ormai sei lì, e procedi. E lo scenario si apre. La vallata
È un bagno di luce e di verde e di azzurro.

Ogni tanto lungo la via incontri altri che fanno quel sentiero.
Vi salutate. Qualcuno parla un po’ di più, e allora ci scambia informazioni, si condivide una battuta, si trasmette energia,
e ci si gode il tragitto.

L’altro è lo specchio di parti di noi, e le parti di noi sono lo specchio dell’altro. Si sale sempre da soli in un certo senso,
e si sale sempre assieme.

Superato il bosco, che protegge dal sole, da un’esposizione troppo bruciante, che accoglie al riparo dei pini le fatiche e i sospiri,
la montagna si rivela e si concede, con i suoi spiazzi,
la sua vegetazione, le sue altezze, la sua frescura, la sua vista.

È tanto banale quanto vero che le cose che sembrano così grandi
Ad altezze minori, appaiono così piccole dall’alto.

Le case, i paesi, le persone, tutti noi, con le nostre preoccupazioni,
le ansie e angosce e i problemi del giorno e le pene del cuore,
a quell’altezza appaiono ridimensionate.

Non vane o inesistenti, semplicemente più piccole.

E il cielo è un soffitto che appare meno solido, è come una dimensione, una radura, un dialogo con intelligenze geometriche,
nel silenzio selvatico di un ordine altro rispetto a quello mondano.
E allora ti fermi. Attorno a te l’ampiezza e la spaziosità.
Ma non c’è nessun “sentimento oceanico”,
nessuna emozione da farne una canzone.

Solo un senso di relativa pienezza, di ringraziamento.
Un senso di comprensione per la vita, quella vera, quella che fa crescere e alimenta tutta questa bellezza,
tutto questo mistero che stiamo distruggendo per la nostra avidità
e vanità.

Tutta questa bellezza che siamo diventati incapaci a vedere,
per costruire l’ennesimo centro commerciale,
l’ennesima palazzina con bilocali e monolocali smart,
o per fare un altro investimento tecnologico o militare.

Tutta queste bellezza che non riusciamo più a vedere,
perché siamo rapiti da un sostituto di bellezza
nei nostri cellulari e teleschermi.

Penso che tutta la patologia del nostro mondo
Sia in questa distanza che abbiamo messo fra noi
E gli elementi essenziali dell’esistenza.

Penso che non sia la “natura” a custodire un segreto,
ma quel qualcosa di originario, di pulito, di forte, di integro
che in montagna respiri ad ogni passo, e che in realtà
è dentro ciascuno di noi.
Penso che quel qualcosa sia un’esperienza diretta di vita
che tutti cerchiamo in qualche modo.
Penso che quel qualcosa sia la rivoluzione.
Il riscatto generazionale verso un sistema che vorrebbe
Renderci polli da allevamento come diceva Gaber.

La decisione per un’esistenza che sia degna di essere vissuta.
Questo mi insegna la montagna.

A iniziare, cadendo ogni giorno di nuovo, a vivere davvero.

Francesco Marabotti

3 months, 4 weeks ago

Sì, sarebbe stato bello leggere anche questa pagina di Gobetti ieri durante la celebrazione alla Camera dei Deputati. Mi chiedo come avrebbero reagito a simili parole i tanti politici nostrani, Presidenti ed ex Presidenti che siano, che perpetuano quasi all'unanimità e senza vergogna alcuna una retorica della guerra giusta, del riarmo, e addirittura di nuove leve di massa, di fronte alla minaccia sempre più concreta di una deflagrazione nucleare.
Cosa direbbero questi politici e questi giornalisti ad un Matteotti vivente? che è un pacifinto? un disfattista? un alleato di Putin, o cos'altro? Oggi forse non lo farebbero fuori fisicamente, ma i soliti carnefici della storia trovano modalità sempre nuove e subdole e sottili per imporre comunque il loro dominio sanguinario.

Marco Guzzi

3 months, 4 weeks ago

Il 10 giugno del 1924 veniva assassinato Giacomo Matteotti.
Aveva solo 39 anni, e tre figli.
E' giusto ricordare il suo coraggio, la sua fortissima denuncia delle derive violente e totalitarie del fascismo; ma credo che oggi, proprio oggi, sarebbe forse anche più proficuo ricordare la sua opposizione radicale alla guerra come tale.
Se infatti oggi il regime fascista è solo un tempo passato, dal quale d'altronde facciamo ancora fatica ad emanciparci; ciò che invece è drammaticamente presente è lo spirito bellico, guerrafondaio, e folle che ci sta precipitando in un'ennesima carneficina mondiale.
Sarebbe dunque importante ricordare Matteotti per la sua solitaria e profetica contestazione della guerra come tale.
All'indomani dell'omicidio di Matteotti, e poco prima del proprio assassinio, Piero Gobetti scrisse un bellissimo saggio biografico sul politico di Fratta Polesine. Questo testo inizia così:
"Il 2 maggio 1915, tre giorni prima della sagra dannunziana di Quarto, ci fu a Rovigo un comizio contro la guerra, oratori il dottor Giacomo Matteotti e Aldo Parini che vi sostenne, esempio unico in una pubblica riunione, la tesi missiroliana della Germania
democratica. Invece di un discorso si ebbe un dialogo con la folla, scontrosa e diffidente per gli oratori.
Matteotti parlava contro la violenza con un linguaggio da cristiano: nella folla fremevano fascisticamente spiriti di dannunzianismo e di piccolo cinismo machiavellico.
Difendere la neutralità poteva essere la difesa di un errore: Matteotti parlò contro la guerra. Lo interrompevano in dialogo acre ma si dovevano riconoscere di fronte una fede invece di un progetto.
Quel giorno Matteotti previde la guerra lunga, difficile, disastrosa anche per i vincitori; e portò la sua tesi in sede metafisica: inutilità della guerra, facendosi tollerare da una generazione nietzscheana per la severità della sua solitudine.
Ripetè il suo discorso, quando non c’era più pacifista che parlasse, a guerra iniziata, al Consiglio Provinciale di Rovigo. Processato per disfattismo, condannato in ripetute istanze, trattò da sé la sua causa in modo radicale, senza rinnegare nulla del suo atto, anzi
ostinandosi a farne riconoscere la legittimità. La protesta contro la guerra come violenza non era disfattismo, ma un atto di fede ideale: bisogna saper vedere in Matteotti, giurista, economista,
amministratore, uomo pratico, queste pregiudiziali di
disperata utopia, di assoluto idealismo, di reazione
assurda contro la grettezza filistea dei falsi realisti.
Sicuro come un apostolo, Matteotti si fece assolvere in
Cassazione sostenendo la tesi dell’immunità dell’oratore
in sede di Consiglio Provinciale. La protesta valse per qualche risultato: fecero attenzione a lui, che era riformato per la stessa causa di cui morirono giovanissimi i suoi due fratelli, e lo
arruolarono per i servizi sedentari. Lo costrinsero alle fatiche del corso allievi ufficiali, rifiutandogli poi il grado per i suoi reati di disfattista. Comandato a Messina lo volevano spedire al fronte, nonostante l’infermità, in una di quelle compagnie di pregiudicati
che si conducevano alla decimazione sotto la sorveglianza dei carabinieri. Rifiutò, protestando che sarebbe andato al fronte come soldato, non come delinquente al macello. Allora lo internarono a Campo Inglese dandogli compagno il figlio del brigante
Varsalona che lo sorvegliasse. Tra la solitudine, il sospetto e le persecuzioni il carattere di Matteotti si rivela nella sua impassibilità. Assisteva alle conseguenze delle sue azioni come un buon logico.
Conviene mettere a confronto l’esempio di Matteotti pacifista con la condotta degli uomini tipici del pacifismo italiano, pavidi e servili per non essere presi di mira, nascosti e silenziosi nei Comandi o negli impieghi, emuli dei nazionalisti nel rifugiarsi nei bassi
servizi. Matteotti non disertava, non si nascondeva, accettava la logica del suo «sovversivismo», le conseguenze dell’eresia e dell’impopolarità: era, contro la guerra, un «combattente» generoso."

3 months, 4 weeks ago

Trascinata dalla corrente forte della Storia
l'educazione mondiale, e contestualmente la scuola italiana,
al pari di tutte le altre forme di civiltà
è giunta a un bivio inaggirabile e imminente, di tipo principalmente antropologico:

Che cos'è l'uomo? E di conseguenza come va cresciuto?

Sarà un animale da condizionare, un macchina che macina informazioni,
una trama limitata di dati estraibili e vendibili, insomma una cosa fra le altre,
oppure sarà un mistero infinito da risvegliare all'altezza della propria essenza,
e che tipo di mistero?

Ciascuno scenario, la cui scelta dipende in ultima istanza dalla responsabilità umana,
influenza a suo modo i valori, le conoscenze e le pratiche da trasmettere tra le generazioni,
le istituzioni formative e le relative tecniche.

Vediamo dove sta andando il mondo: verso un'educazione calata dall'alto, standardizzata e prettamente virtuale;
ma coloro che abbiano a cuore l'intera persona umana verso dove possono andare?

Come possiamo "covare" il nido di una Nuova Umanità più pacificata, libera e creativa
nel modo più efficace e diffuso possibile?

Ne parleremo a Gonzaga il 7 Giugno,
durante l'ultima tappa del ciclo delle Feste della Nuova Umanità,
dal titolo "Educhiamoci a diventare Nuova Umanità".
Non mancate!

4 months ago

Spesso mi chiedo: cosa devo fare?

Per esempio: devo scrivere a questa persona adesso,
o nel pomeriggio? Oppure: devo andare a quella cena stasera
o è una perdita di tempo?

Se ci pensiamo bene, la nostra vita è un continuo
Chiederci: “Cosa devo fare?”.

Sul piano politico, cioè dell’azione collettiva,
la domanda è la stessa: “Che cosa dobbiamo fare
in economia, o a livello geopolitico?”.

A questa domanda, normalmente diamo una risposta
Fondata sul meccanismo di attacco-fuga.
O aggrediamo la situazione, o ce ne difendiamo.

Invece, la via dell’ascolto interiore, della continua ricerca
Di una sintonia fra le varie componenti del nostro essere,
ci insegna che prima del fare viene l’Essere.

La domanda diventa quindi: “Come sono in questa situazione?”
Come mi sto relazionando ad essa, con quale spirito?
C’è la gioia del piacere della situazione in cui mi trovo,
o c’è forse brama, attaccamento, ansia da prestazione,
paura, risentimento?

C’è volontà di entrare in relazione, di conoscere l’altra persona,
o forse invece paura di non essere riconosciuto dall’altro,
di non essere visto?

C’è forse paura che se l’altro non mi amerà
ripiomberò nella mia disperazione?

Mi interessa veramente l’altro o solo il desiderio dell’altro,
e cioè l’idea che se otterrò il suo sguardo e il suo amore
avrò finalmente benessere e felicità?

Direbbe Erich Fromm:
Sto agendo cioè a partire dall’essere o dall’avere?

A tutte queste domande
non possiamo dare una risposta intellettuale.

È solamente questa sospensione, questa interruzione
Della modalità abituale, che ci rimette in contatto
Con la possibilità di una ri-centratura.

Di un agire che nasca da un ascolto.
Di un dire che nasca da un udire.

Allora la risposta è come se sgorgasse da sé,
da un’anima unificata.
L’azione giusta è quella che accade per l’intrinseca
Gioia del suo accadere, insegna Krishna nella Bhavagad Gita.

In questo tempo storico, in cui l’aumento indefinito
Di stimoli e di notifiche porta a risposte
Frettolose e diluite,
aumenta io credo questo senso di smarrimento.

Non sappiamo, letteralmente, che fare.
Il crescente bisogno di pratiche interiori è un segnale
Di un risveglio graduale delle coscienze,
che la vera domanda è sempre di nuovo:

“Ma Dove sono in questo momento?”.

Francesco Marabotti

4 months, 1 week ago

L'altra sera mi sono visto, tanto per distrarmi, un vecchio film del 2016, con John Travolta, un tipico prodotto industriale senza troppe pretese, utile a passare un paio d'ore senza impegno.
Mi ha sempre consolato il pensiero che il grande Wittgenstein soleva spesso andare al cinema a vedere film western, credo con lo stesso spirito con cui capita anche a me di desiderare una pausa di sana superficialità.
La storia era quella ripetuta infinite volte da autori e registi statunitensi: un vecchio pistolero/agente dei servizi/eroe dei marines etc., a riposo da anni per vari motivi, torna in azione perché gli uccidono la moglie, la figlia, un amico, oppure rapiscono una bambina e così via.
E' un archetipo USA sempre valido, interpretato da quasi tutti i più grandi attori di Hollywood, da Gregory Peck fino al vecchio e intramontabile Seagal.
La storia si sa benissimo come andrà a finire: l'ammazzasette di turno sterminerà tutti i cattivi, ma proprio tutti, farà una strage, insomma, come appunto Travolta, che in meno di 100 minuti ucciderà, insieme al suo amico/collega, decine e decine e decine di "cattivi": tutti i cattivi in pratica.
Il film si intitola "Io sono vendetta", e si riferisce ad un passo del profeta Geremia che dice al capitolo 6, verso 11: "Io sono pieno dell'ira del Signore, non posso più contenerla."
Questo film, e specialmente questo titolo mi hanno ricordato le considerazioni svolte da Tony Smith, che ha insegnato Scienza politica e di governo in varie università del New South Wales e di Canberra, Australia: "L'America è un paese in cui prevale la cultura della vendetta. (...) Dell'America, da Tocqueville in poi, si cita spesso l'afflato religioso: Ma è una religiosità in certo modo arcaica (...) Ai valori neotestamentari del perdono, dell'umiltà e della compassione si preferisce un approccio veterotestamentario in cui il confine tra giustizia e vendetta è spesso labile".
Credo che queste considerazioni possano spiegare molto bene alcuni atteggiamenti mentali degli USA, quali ad esempio l'attaccamento alla pena di morte in molteplici Stati, ma anche la natura profondamente bellica di questa nazione, che si vorrebbe l'eletta da Dio a promuovere il bene nel mondo.
Sarà per questo che gli USA posseggono circa 750 basi in giro per il mondo, e spendono in difesa più dei successivi dieci Stati messi tutti insieme.
Stati dai quali ovviamente dobbiamo difenderci, anche noi vassalli dell'Impero, perché sarebbero terribilmente guerrafondai, e molto minacciosi, loro ......
Queste riflessioni di Smith mostrano inoltre diverse similitudini tra lo spirito religioso USA e quello di Israele: "Confinare i palestinesi in una 'riserva' per renderli innocui ricorda quanto fatto dagli Stati Uniti con ciò che restava dei popoli indigeni, ma anche con gli afroamericani durante la fase più acuta del segregazionismo in cui ai neri era 'assegnato' un posto preciso nella geografia spaziale".
Dunque ancora una volta, sia pure in modo inapparente, la questione cruciale resta di tipo religioso: quale religiosità vogliamo che animi la nostra convivenza? sia a livello interno che internazionale? con quale spirito vogliamo inoltrarci in questo XXI secolo? E di fronte alla vendetta veterotestamentaria possiamo concepire e tentare di incarnare. a tutti i livelli, lo spirito della riconciliazione, della fatica della riconciliazione, proprio della Nuova Umanità? E sapranno i popoli europei riscoprire la loro vera spiritualità che supera e contesta sia l'arroganza di chi crede di avere sempre ottime ragioni per uccidere chiunque, sia l'impotenza connivente di chi non crede più in nulla, e lascia così che si perpetui ogni massacro?

Marco Guzzi

4 months, 1 week ago

Stamattina pensavo a quelle antiche espressioni che spesso accompagnavano le vite dei santi, ma anche di tanti artisti e scrittori:
disgustato dal mondo, si ritirò in un convento, nella foresta, nel deserto, nella sua camera, e così via.
Il disgusto per questo sistema di mondo, per tutte le sue inutili lusinghe, per gli infiniti giochi mentali del desiderio e della paura, è un ottimo punto di partenza.
Per una qualsiasi vita sensata.
Non ci vuole molto d'altronde per renderci conto che tutto passa e si dilegua, che tutto resta in fondo insoddisfacente, e pregno comunque di tanta, ma davvero tanta sofferenza: tutto è anicca (impermanente), dukkha (sofferenza) e anatta (privo di sé), dicono i buddhisti.
Noi, nella tradizione occidentale, diremmo: vanità delle vanità, tutto è vanità, fumo negli occhi, e superbia della vita.
Il problema sorge però dopo avere avuto una simile intuizione, che io credo stia diventando sempre più comune, e lancinante.
Mi pare cioè che di decennio in decennio l'esperienza spirituale del disgusto per questo mondo stia diventando quasi un punto di partenza per tutti, studenti e fioraie, operaie e professori, e non più un'esperienza limite per soggetti particolarmente spirituali.
Perciò il problema di come convivere con questa intuizione è oggi decisivo e di massa.
La tentazione di rifugiarsi in qualche eremo, mentale o fisico o virtuale, resta molto forte, lo sappiamo, e penso che questa via di fuga sia oggi diffusamente tentata, in molteplici forme: droghe, analgesici vari, viaggi e viaggetti compensatori, navigazioni telematiche di ogni genere, e così via.
Eppure a me queste soluzioni non mi hanno mai convinto.
Mi sembrano anch'esse pregne di vanità, anzi ancora più vane, e a volte perfino strazianti.
Nemmeno le fughe di Rimbaud a Aden o di Stevenson o di Gauguin in qualche paradiso perduto, che pure avvenivano quasi 150 anni fa, mi hanno mai attratto.
Io voglio restare qui, a Roma, e al contempo voglio essere del tutto e radicalmente ALTROVE.
Io voglio che questo Altrove sia qui, avvenga qui, in via Giuseppe Valmarana, e modifichi il mio QUI.
Io voglio la coniugazione definitiva e trionfale tra il Cielo e la Terra, tra l'altrove e questo spaziotempo microscopico e mortale, tra lo Spirito e il mio Sangue.
Voglio l'ossigenazione rigenerante di tutto il creato:
la sua Rivelazione strabiliante!
la sua Solarizzazione!
Non me ne andrò perciò da Roma, ma farò di Roma, almeno a tratti, e per qualcuno, lo spazio di una Vita soddisfatta, finalmente, e follemente compiuta:
il Luogo in cui IO SONO:
per sempre e ora
Fuoco intelligente delle stelle:
Eterno amore che crea.

Marco Guzzi

6 months, 1 week ago

C'è una certa ora

C'è una certa ora - come un peso buttato via:
quando in noi l'arroganza è domata.
Un'ora d'apprendistato, in ogni esistenza
trionfalmente ineluttabile.

Un'alta ora, in cui, deposta l'arma
ai piedi di chi ci ha indicato - Il Dito,
la porpora di guerriero con il pelo di cammello
scambiamo sulla sabbia del mare.

Oh, quell'ora, che all'impresa come una Voce
ci solleva dall'arbitrio dei giorni!
Oh, quell'ora, in cui, come spiga matura,
ci pieghiamo sotto il nostro peso.

E la spiga cresce e scocca l'ora della gioia,
e il grano brama la macina.
Legge! Legge! Già nell'utero della terra
giogo da me concupito.

Ora dell'apprendistato! Ma un'altra luce
ci si fa vedere e conoscere - appena accesa l'aurora.
Te benedetta, ora suprema della solitudine
che passo passo la segui!

Marina I. Cvetaeva

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