DARSI PACE - MARCO GUZZI

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5 days, 15 hours ago

“L’amore e la vita vanno vissute con le ossa”, dice C.P. Estès, l’autrice dello straordinario “Donne che corrono coi lupi”. E’ il processo di umanizzazione. Ed è il mio processo. Perenne.

Ma, andiamo con ordine.

Sono Aurelio Diano e scrivo dalla Campania e dalla Puglia e, poi, dalla Basilicata e dalla Calabria. Queste sono le Regioni italiane per le quali sono referente e che mi appartengono, ciascuna con la propria peculiarità, tutte e insieme, nella dirompente vitalità che sperimento e che mi regalano i volti, le parole, i corpi che incontro e che mi
sono dati in questa avventura che è Darsi Pace.

“Vivere è pienamente sentire la propria esistenza”, diceva Leopardi, nel suo Zibaldone.

Che è vivere in ascolto di sé, forse l’unico atto che ci è proprio. Prima ed essenziale coniugazione, quella con sé stessi. Altro e oltre a ciò, se arriva, ed è autentico, è solo segmento di gratuità. Perciò, imparo a ringraziare sempre. Per ciò che c’è.

Due miei tratti salienti:
L’inquietudine
Acerrima nemica. Fin da adolescente. Che imparai a mascherare con una sorta di buonismo e con il dono della parola, che ricevetti presto, e che utilizzavo per calmierare, gestire, sublimare, ciò che confliggeva dentro. Col tempo, imparai che non potevo non farci i conti. Sapevo che se non volevo toccare l’inquietudine, non avrei avuto contatto con le parti sottili di me.

Eppure, “irriducibile” è la parola della mia inquietudine. Da sempre così, e sempre così, anche oggi, quando la risento.

E, dunque, mi risultava vitale uscire dal controllo serrato con cui determinavo la mia vita. Scelte di fede, famiglia, affetti, impegno ecclesiale… tutto perfettamente organizzato. Ma più eserciti il controllo, meno cose hai da controllare, e così meno vita da controllare e così…meno vita! Questa è la “cascata” associativa che si imponeva al mio sentire. E sempre sapevo che resta in auge la possibilità di fallire. Di fallire la vita.

Qui, interseco l’altro mio tratto che contrad-distinguo: la forza di carattere, la determinazione, ai limiti della caparbietà, della cocciutaggine come del resto, da buon calabrese, dovrei interpretare. Perciò, ho voluto e voglio vivere al limite delle mie possibilità, sempre e ogni giorno: rischiando fallimenti, solitudini, isolamenti… venendo
ferito, a volte, e, a volte, ferendo. Ma quanta bellezza, quanto sorriso, quanto amore ho dato, e ricevuto, in questi quattordici anni di vita spirituale, in mezzo a tutti noi.

E ringrazio, per le grandi amicizie che son nate, nelle terre di Campania, di Puglia e nella mia terra calabrese, perché il nostro incontrarci da praticanti, per meditare insieme, per esercitarci nel lavoro di autoconoscimento, per sollecitarci nello studio, è stato fatto divenendo progressivamente comunità di parola, di intenti, di cuori.

« Noi cresciamo – dice Marco Guzzi, nel suo ultimo libro “Gli Anni d’Oro 2020-2026” – solo attraverso la crescita spirituale delle singole persone, che hanno responsabilità entro il Movimento. Cresciamo cioè in modo organico! Come un corpo » (p. 77).

Darsi Pace, per me, è davvero la scuola per Imparare ad Amare, che è la consegna finale, dell’ultimo biennio, l’ultimo Portale – come lo chiamerebbe lo stesso Marco – che ci viene consegnato come compito, come compimento della vocazione che abbiamo ricevuto e che, ancora, andiamo a spendere nel mondo:

« Il nostro compito consiste nel portare tutta la nostra storia, personale, familiare e anche nazionale, nel punto del suo Ricominciamento rivelativo. Il nostro compito è portare avanti l’Apocalisse del popolo italiano » (p. 73).

✉️ Chi volesse, con me, continuare a cercare con Piedi di Cerva, le Alte Vette del sentiero spirituale, proprio nelle Regioni d’Italia che ho citato, non ha che da scrivermi su [email protected]

Un abbraccio a tutti!

1 week ago
Pochi giorni fa la "Carta della …

Pochi giorni fa la "Carta della Nuova Umanità ha oltrepassato
la soglia delle diecimila firme(tra le quali figurano anche quelle di Carlo Sini, Mauro Scardovelli, Antonino Galloni, Paolo Maddalena e Ugo Mattei)
Ed è per noi un risultato importante, consapevoli
dell'umiltà del nostro progetto, ma anche delle straordinarie
possibilità che sono insite in esso.

La Carta della Nuova Umanità è anzitutto un Appello
rivolto al popolo italiano, la Chiamata ad una nuova,
straordinaria aggregazione delle anime, dei corpi
e delle coscienze per prendere parte in modo creativo all’immensa svolta dei tempi in corso.

Questo manifesto ci ha d’altra parte accompagnato
nei due grandi viaggi del ciclo La Nuova Età e Le Feste della Nuova Umanità, e ancora quest’anno – nel nuovo calendario appena iniziato de “Gli Anni d’Oro” – ci offrirà uno sguardo,
una visione d’insieme dello spirito e del terreno di idee
che a nostro avviso caratterizza la nuova umanità,
cui stiamo provando a dare corpo in molti modi.

La traduzione in altre lingue europee della Carta della Nuova Umanità – resa possibile dal coordinamento di Maila Arelli,
nostra responsabile per i praticanti esteri – è infatti un ulteriore, significativo passo verso l’irradiazione internazionale e anzitutto europea del nostro pensiero politico-spirituale, già radicato ormai in tutta Italia.

La sfida sta tutta qui: abbandonare la pretesa di conoscere già in anticipo gli sviluppi che tutto questo movimento avrà nei prossimi anni. Affidarci in anima e corpo alla rivelazione paziente, graduale e sapiente di cui lo Spirito stesso ci fa dono, senza alcuna fretta né forzatura.

Se ancora non lo avete fatto, vi invitiamo a firmarla
e ad aiutarci a diffonderla.

✍🏾Firma qui:
https://cartadellanuovaumanita.it

1 week, 1 day ago

Il vento è forte, nonostante tutte le apparenze contrarie,

basta aprire le vele per rendercene conto.
Marco Guzzi

Diventavo formatrice dei Gruppi Darsi pace l’anno in cui, durante una indimenticabile
condivisione di gruppo a Santa Marinella, comprendevo che l’antico e lacerante dolore, a
lungo percepito come solo mio, è il dolore dell’essere umano separato dalla Sorgente che
lo origina.
Era il 2015.
Nello stesso anno terminavo il percorso professionale e mi avventuravo nell’esperienza
dei gruppi territoriali come responsabile regionale della Lombardia. L’azione educativa
realizzata per più di quarant’anni con i bambini di scuola primaria continuava come azione
ri-educativa di me stessa nella quale iniziavo a guardare il dolore con meno paura, ad
accoglierlo per curarlo e ad attraversarlo senza aumentarlo.
Vivo i Gruppi Darsi pace come dono prezioso nel percorso iniziatico che mi richiede oggi
di conoscermi ad un nuovo livello di profondità.
Nel luogo sicuro del gruppo, posso aprire il mio cuore senza sentirmi giudicata e guardare
parti oscure di me con la fiducia di trovare uno spiraglio di luce, posso dispormi ad una
conoscenza alla quale non basta la ragione, serve l’apertura al Pensiero luminoso e
benevolo che fa tanto bene all’ anima perché la rallegra e la alleggerisce.
In gruppo imparo a leggere il tempo che mi è dato, ad abitarlo scoprendone il segreto
movimento, ad intuire che noi siamo un processo di rivelazione in atto consegnato alla
nostra libertà.
Durante la condivisione in gruppo, ascolto ogni persona restando in ascolto di me stessa,
le emozioni dell’altro risuonano con le mie ed io mi alleno ad accoglierle senza giudicarle,
a lasciarle essere senza spaventarmi restando nella Coscienza che, facendosi di sfondo,
osserva i fenomeni che affiorano e rimane in Sè.
In questo ascolto, sperimento che l’altro è (dentro di) me e che io sono l’altro.
Rivedo la bambina che si affaccia alla vita con tanta voglia di giocare e che dalla vita si
sente tradita; le lascio urlare tutta la sua disperazione, senza forzarla la aiuto a vedere il
magma di emozioni che la fa soffrire, le insegno a nominarle una ad una affidandosi a me;
e lei, fidandosi di me, mi dà la possibilità di raccontare di nuovo la mia storia dentro il
Dinamismo trasformativo al quale ora voglio partecipare con la gioia di essere presente. E’
bello sentirla abbandonarsi tra le mie braccia mentre io mi abbandono alla Vita che sento
fluire in tutto il mio essere.
Ogni volta che partecipo ai gruppi, a Roma come in Lombardia, mi lascio toccare dalla
sofferenza degli altri mentre ascolto la mia, e vedo che dentro le nostre crisi, i nostri
fallimenti, i nostri conflitti, le nostre fatiche quotidiane si sgretola piano piano una vecchia
forma di Io e viene alla luce un nuovo modo di essere uomini e donne; nello spazio vuoto
e silente che la pratica meditativa apre in ciascuno di noi imparo a sostare, ad attendere.
E’ lì che percepisco il palpito della nuova umanità, lì il Nuovo Io ricrea una ad una le cellule
del mondo e le rigenera a tutti i livelli, lì ascolto la parola bene-detta che ha la dolcezza di
consolare e la potenza di trasformare.

Ricomincio con gioia l’attività territoriale affiancata da Augusto Tosi, anch’egli formatore,
da Elena Carafa e da Alessandro Palma entrambi in formazione; insieme partecipiamo al
gruppo di Milano che sta crescendo in numero e in determinazione; io seguo anche il
gruppo di Palazzolo e Augusto il gruppo di Brescia; inoltre quest’anno verranno offerti tre
incontri on line ai praticanti della prima annualità e sarà Augusto a condurli.
Insieme impariamo ad aprire le vele e a navigare con meno paura nel mare aperto della
trasformazione fiduciosi della rotta che di notte ci offre soltanto la stella polare.

Giuliana Martina

✉️ Per informazioni sui gruppi Darsi Pace in Lombardia, potete contattarmi:
[email protected]

3 months, 1 week ago

La cosa che più mi colpiva di Paolo Ricca, anche mentre lo intervistavo, è la semplicità metodica e radicale del suo credere, del suo far essere quello che diceva. Non è tanto la lunga e importante carriera di teologo a doverci impressionare, quanto il taglio povero e netto - direi schiettamente acuto - col quale trasmetteva la sua grande sapienza cristiana a molti.
In questo senso amo citare un suo piccolo opuscolo del 1973, intitolato "L'identità protestante":
«Ma chi è in grado di valutare una crisi di fede? Noi intendiamo diversamente la crisi attuale: la intendiamo come la crisi che accompagna una svolta. Siamo, con questa crisi, a una svolta della nostra storia. Di questo è indispensabile prendere coscienza: il protestantesimo di domani non potrà essere soltanto la versione aggiornata di quello di oggi. La nostra speranza e la nostra preghiera è che la svolta verso la quale stiamo andando non sia un aggiornamento, ma una conversione».

Ecco il punto. Una crisi di svolta e di conversione, che riguarda in primo luogo le chiese cristiane intese come comunità spirituali in travaglio neo-natale. Dov'è finita oggi la temperatura antropologica che alimentava queste parole? Mentre la Chiesa romana si straccia le vesti per questioni etiche e sociali, dove sta la Forza, la Visione profetica e fondatrice necessaria alla conversione a se stessa della Chiesa universale? Nessuno ha nemmeno un po' da inorridire di fronte allo scandalo di una completa inerzia dell'ecumenismo ?
È mai possibile che, a dispetto di tutti i baci e abbracci, l'unica ragione ufficiale che tiene tutt'oggi separata la Chiesa cattolica da quella ortodossa sia il primato del vescovo di Roma? Ci rendiamo conto di quanto sia grave questo fatto?
A cosa serve tutta la pace e il buonismo laicista di questo mondo se la sostanza è e resta la separazione di fatto, la maschera "fluida" di un "va bene tutto", senza la benché minima incisività nella carne bruciante della storia?

Paolo Ricca, con tutti i suoi limiti umani, sapeva queste cose e ha provato a gridarle. Me lo disse una volta al telefono, con parole molto accese, mentre preparava il suo libro intitolato semplicemente "Dio".
Nella calura smisurata di questi giorni di agosto, lo dobbiamo dire:
la storia dell'Europa cristiana e mondiale è tutt'oggi lacerata e sanguinante per le sue ferite non curate. Mentre ovunque siamo sommersi da "dati" e da "fatti" fino a impazzire, la tremenda mancanza di storia è la mancanza di domanda, di vita e di spirito che ADESSO - negli istanti più intimi della nostra vita personale - ci logora e ci impedisce di essere noi stessi.

L'ebreo Walter Benjamin credeva che il vero storico fosse un profeta con lo sguardo rivolto all'indietro. Ma io mi chiedo:
chi è oggi abbastanza umano da sentirlo? In che direzione sta andando la nostra Decisione a questo proposito?
Il silenzio ovattato, stracolmo di baccano di questo mondo, è solo un momentaneo sfogo delle potenze cieche, che nulla hanno mai potuto contro quel Silenzio vero che è Canto dell'essere, nuovo Inizio inarrestabile di tutte le cose, già in atto nella storia.
È il Cristo delle cose, come amo chiamarlo. Il Cristo come modo e come risonanza del Tutto, in quell'Adesso in cui l'Eterno è già da sempre cominciato. E si fa mondo. Si fa me stesso, noi stessi.
E così sia.

Luca Cimichella

3 months, 1 week ago

« Per noi è importante che il livello spirituale e quello terapeutico siano collegati. La psicoterapia aiuta a liberarsi da modelli esistenziali sbagliati che condizionano anche la vita spirituale. La spiritualità aiuta a vedere le ferite anche come un'occasione di incontro con Dio e di nuova apertura verso gli uomini.

In occasione del convegno “pregare nel monachesimo” (1975) ebbero luogo conversazioni molto interessanti sulle esperienze dei primi monaci con la preghiera e la meditazione. Confrontammo poi queste esperienze con le forme orientali di meditazione e con la psicologia junghiana. Fu l'inizio di uno scambio d'opinioni, che dura ormai da anni, sul tema dell'eredità dei padri del deserto. Il nostro intento era quello di mettere a frutto nella nostra vita religiosa le esperienze fatte con la meditazione zen e la psicologia junghiana.

Il nostro attuale abate mi incaricò di tenere una conferenza sul tema "La purezza di cuore". Per prepararmi lessi alcuni testi dei monaci e li elaborai. Poiché la conferenza riuscì bene, la inviai al periodico benedettino Erbe und Auftrag (Eredità e compito). Poi la casa editrice Kaffke mi chiese se potevo ampliare un po' il saggio e pubblicarlo nella loro collana di saggi brevi. Lo stesso accadde con un altro tema che avevo elaborato per i religiosi: “Umiltà ed esperienza di Dio”. Quando, nel 1976, in occasione di un altro convegno discussi il tema “Preghiera e conoscenza di sé”, padre Fidelis Ruppert, che a quel tempo era ancora priore, e io convenimmo che avremmo potuto pubblicare noi stessi dei brevi saggi. Fu la nascita dei nostri opuscoli di Münsterschwarzach.

Sentivamo che la gente apprezzava la spiritualità del monachesimo primitivo che cercavamo di sviluppare per noi oggi sullo sfondo della psicologia junghiana. Questo interesse e i colloqui con i partecipanti ai corsi che offrivamo costituirono l'impulso principale che mi spinse a scrivere. »

? "La cura dell'anima. L'esperienza di Dio tra fede e psicologia" (Paoline, 2004) di Anselm Grun.

? scopri i libri della collana Crocevia, diretta da Marco Guzzi ?

? scopri i libri della collana Crocevia, diretta da Marco Guzzi ? https://www.paolinestore.it/in-vetrina/archivio/collana-crocevia.html

3 months, 1 week ago

Qualche giorno fa ho fatto un’escursione in montagna.
Ho percorso un dislivello di quasi 1000 metri in tre ore,
arrivando a 2000 metri, nel cuore delle Orobie.

Tutta in salita. Tutta di gambe e addominali bassi.
Il sentiero di montagna è analogo al percorso spirituale autentico.

All’inizio una voce dice: “Ma chi me lo fa fare?”.
Un’altra risponde:
“La voglia di esplorare qualcosa che non conosco, di vedere la bellezza”.

E allora parti, e inizi, un piede dopo l’altro, un momento dopo l’altro.
Ti fermi, riprendi fiato, e inizi a sentire il corpo che è refrattario
A superare i propri limiti. E capisci che è il corpo certo,
ma anche la mente. È la mente che non vuole fare fatica.

È la mente che non vuole spingersi oltre i propri confini abituali.

Ma ormai sei lì, e procedi. E lo scenario si apre. La vallata
È un bagno di luce e di verde e di azzurro.

Ogni tanto lungo la via incontri altri che fanno quel sentiero.
Vi salutate. Qualcuno parla un po’ di più, e allora ci scambia informazioni, si condivide una battuta, si trasmette energia,
e ci si gode il tragitto.

L’altro è lo specchio di parti di noi, e le parti di noi sono lo specchio dell’altro. Si sale sempre da soli in un certo senso,
e si sale sempre assieme.

Superato il bosco, che protegge dal sole, da un’esposizione troppo bruciante, che accoglie al riparo dei pini le fatiche e i sospiri,
la montagna si rivela e si concede, con i suoi spiazzi,
la sua vegetazione, le sue altezze, la sua frescura, la sua vista.

È tanto banale quanto vero che le cose che sembrano così grandi
Ad altezze minori, appaiono così piccole dall’alto.

Le case, i paesi, le persone, tutti noi, con le nostre preoccupazioni,
le ansie e angosce e i problemi del giorno e le pene del cuore,
a quell’altezza appaiono ridimensionate.

Non vane o inesistenti, semplicemente più piccole.

E il cielo è un soffitto che appare meno solido, è come una dimensione, una radura, un dialogo con intelligenze geometriche,
nel silenzio selvatico di un ordine altro rispetto a quello mondano.
E allora ti fermi. Attorno a te l’ampiezza e la spaziosità.
Ma non c’è nessun “sentimento oceanico”,
nessuna emozione da farne una canzone.

Solo un senso di relativa pienezza, di ringraziamento.
Un senso di comprensione per la vita, quella vera, quella che fa crescere e alimenta tutta questa bellezza,
tutto questo mistero che stiamo distruggendo per la nostra avidità
e vanità.

Tutta questa bellezza che siamo diventati incapaci a vedere,
per costruire l’ennesimo centro commerciale,
l’ennesima palazzina con bilocali e monolocali smart,
o per fare un altro investimento tecnologico o militare.

Tutta queste bellezza che non riusciamo più a vedere,
perché siamo rapiti da un sostituto di bellezza
nei nostri cellulari e teleschermi.

Penso che tutta la patologia del nostro mondo
Sia in questa distanza che abbiamo messo fra noi
E gli elementi essenziali dell’esistenza.

Penso che non sia la “natura” a custodire un segreto,
ma quel qualcosa di originario, di pulito, di forte, di integro
che in montagna respiri ad ogni passo, e che in realtà
è dentro ciascuno di noi.
Penso che quel qualcosa sia un’esperienza diretta di vita
che tutti cerchiamo in qualche modo.
Penso che quel qualcosa sia la rivoluzione.
Il riscatto generazionale verso un sistema che vorrebbe
Renderci polli da allevamento come diceva Gaber.

La decisione per un’esistenza che sia degna di essere vissuta.
Questo mi insegna la montagna.

A iniziare, cadendo ogni giorno di nuovo, a vivere davvero.

Francesco Marabotti

5 months, 3 weeks ago

Sì, sarebbe stato bello leggere anche questa pagina di Gobetti ieri durante la celebrazione alla Camera dei Deputati. Mi chiedo come avrebbero reagito a simili parole i tanti politici nostrani, Presidenti ed ex Presidenti che siano, che perpetuano quasi all'unanimità e senza vergogna alcuna una retorica della guerra giusta, del riarmo, e addirittura di nuove leve di massa, di fronte alla minaccia sempre più concreta di una deflagrazione nucleare.
Cosa direbbero questi politici e questi giornalisti ad un Matteotti vivente? che è un pacifinto? un disfattista? un alleato di Putin, o cos'altro? Oggi forse non lo farebbero fuori fisicamente, ma i soliti carnefici della storia trovano modalità sempre nuove e subdole e sottili per imporre comunque il loro dominio sanguinario.

Marco Guzzi

5 months, 3 weeks ago

Il 10 giugno del 1924 veniva assassinato Giacomo Matteotti.
Aveva solo 39 anni, e tre figli.
E' giusto ricordare il suo coraggio, la sua fortissima denuncia delle derive violente e totalitarie del fascismo; ma credo che oggi, proprio oggi, sarebbe forse anche più proficuo ricordare la sua opposizione radicale alla guerra come tale.
Se infatti oggi il regime fascista è solo un tempo passato, dal quale d'altronde facciamo ancora fatica ad emanciparci; ciò che invece è drammaticamente presente è lo spirito bellico, guerrafondaio, e folle che ci sta precipitando in un'ennesima carneficina mondiale.
Sarebbe dunque importante ricordare Matteotti per la sua solitaria e profetica contestazione della guerra come tale.
All'indomani dell'omicidio di Matteotti, e poco prima del proprio assassinio, Piero Gobetti scrisse un bellissimo saggio biografico sul politico di Fratta Polesine. Questo testo inizia così:
"Il 2 maggio 1915, tre giorni prima della sagra dannunziana di Quarto, ci fu a Rovigo un comizio contro la guerra, oratori il dottor Giacomo Matteotti e Aldo Parini che vi sostenne, esempio unico in una pubblica riunione, la tesi missiroliana della Germania
democratica. Invece di un discorso si ebbe un dialogo con la folla, scontrosa e diffidente per gli oratori.
Matteotti parlava contro la violenza con un linguaggio da cristiano: nella folla fremevano fascisticamente spiriti di dannunzianismo e di piccolo cinismo machiavellico.
Difendere la neutralità poteva essere la difesa di un errore: Matteotti parlò contro la guerra. Lo interrompevano in dialogo acre ma si dovevano riconoscere di fronte una fede invece di un progetto.
Quel giorno Matteotti previde la guerra lunga, difficile, disastrosa anche per i vincitori; e portò la sua tesi in sede metafisica: inutilità della guerra, facendosi tollerare da una generazione nietzscheana per la severità della sua solitudine.
Ripetè il suo discorso, quando non c’era più pacifista che parlasse, a guerra iniziata, al Consiglio Provinciale di Rovigo. Processato per disfattismo, condannato in ripetute istanze, trattò da sé la sua causa in modo radicale, senza rinnegare nulla del suo atto, anzi
ostinandosi a farne riconoscere la legittimità. La protesta contro la guerra come violenza non era disfattismo, ma un atto di fede ideale: bisogna saper vedere in Matteotti, giurista, economista,
amministratore, uomo pratico, queste pregiudiziali di
disperata utopia, di assoluto idealismo, di reazione
assurda contro la grettezza filistea dei falsi realisti.
Sicuro come un apostolo, Matteotti si fece assolvere in
Cassazione sostenendo la tesi dell’immunità dell’oratore
in sede di Consiglio Provinciale. La protesta valse per qualche risultato: fecero attenzione a lui, che era riformato per la stessa causa di cui morirono giovanissimi i suoi due fratelli, e lo
arruolarono per i servizi sedentari. Lo costrinsero alle fatiche del corso allievi ufficiali, rifiutandogli poi il grado per i suoi reati di disfattista. Comandato a Messina lo volevano spedire al fronte, nonostante l’infermità, in una di quelle compagnie di pregiudicati
che si conducevano alla decimazione sotto la sorveglianza dei carabinieri. Rifiutò, protestando che sarebbe andato al fronte come soldato, non come delinquente al macello. Allora lo internarono a Campo Inglese dandogli compagno il figlio del brigante
Varsalona che lo sorvegliasse. Tra la solitudine, il sospetto e le persecuzioni il carattere di Matteotti si rivela nella sua impassibilità. Assisteva alle conseguenze delle sue azioni come un buon logico.
Conviene mettere a confronto l’esempio di Matteotti pacifista con la condotta degli uomini tipici del pacifismo italiano, pavidi e servili per non essere presi di mira, nascosti e silenziosi nei Comandi o negli impieghi, emuli dei nazionalisti nel rifugiarsi nei bassi
servizi. Matteotti non disertava, non si nascondeva, accettava la logica del suo «sovversivismo», le conseguenze dell’eresia e dell’impopolarità: era, contro la guerra, un «combattente» generoso."

5 months, 3 weeks ago

Trascinata dalla corrente forte della Storia
l'educazione mondiale, e contestualmente la scuola italiana,
al pari di tutte le altre forme di civiltà
è giunta a un bivio inaggirabile e imminente, di tipo principalmente antropologico:

Che cos'è l'uomo? E di conseguenza come va cresciuto?

Sarà un animale da condizionare, un macchina che macina informazioni,
una trama limitata di dati estraibili e vendibili, insomma una cosa fra le altre,
oppure sarà un mistero infinito da risvegliare all'altezza della propria essenza,
e che tipo di mistero?

Ciascuno scenario, la cui scelta dipende in ultima istanza dalla responsabilità umana,
influenza a suo modo i valori, le conoscenze e le pratiche da trasmettere tra le generazioni,
le istituzioni formative e le relative tecniche.

Vediamo dove sta andando il mondo: verso un'educazione calata dall'alto, standardizzata e prettamente virtuale;
ma coloro che abbiano a cuore l'intera persona umana verso dove possono andare?

Come possiamo "covare" il nido di una Nuova Umanità più pacificata, libera e creativa
nel modo più efficace e diffuso possibile?

Ne parleremo a Gonzaga il 7 Giugno,
durante l'ultima tappa del ciclo delle Feste della Nuova Umanità,
dal titolo "Educhiamoci a diventare Nuova Umanità".
Non mancate!

6 months ago

Spesso mi chiedo: cosa devo fare?

Per esempio: devo scrivere a questa persona adesso,
o nel pomeriggio? Oppure: devo andare a quella cena stasera
o è una perdita di tempo?

Se ci pensiamo bene, la nostra vita è un continuo
Chiederci: “Cosa devo fare?”.

Sul piano politico, cioè dell’azione collettiva,
la domanda è la stessa: “Che cosa dobbiamo fare
in economia, o a livello geopolitico?”.

A questa domanda, normalmente diamo una risposta
Fondata sul meccanismo di attacco-fuga.
O aggrediamo la situazione, o ce ne difendiamo.

Invece, la via dell’ascolto interiore, della continua ricerca
Di una sintonia fra le varie componenti del nostro essere,
ci insegna che prima del fare viene l’Essere.

La domanda diventa quindi: “Come sono in questa situazione?”
Come mi sto relazionando ad essa, con quale spirito?
C’è la gioia del piacere della situazione in cui mi trovo,
o c’è forse brama, attaccamento, ansia da prestazione,
paura, risentimento?

C’è volontà di entrare in relazione, di conoscere l’altra persona,
o forse invece paura di non essere riconosciuto dall’altro,
di non essere visto?

C’è forse paura che se l’altro non mi amerà
ripiomberò nella mia disperazione?

Mi interessa veramente l’altro o solo il desiderio dell’altro,
e cioè l’idea che se otterrò il suo sguardo e il suo amore
avrò finalmente benessere e felicità?

Direbbe Erich Fromm:
Sto agendo cioè a partire dall’essere o dall’avere?

A tutte queste domande
non possiamo dare una risposta intellettuale.

È solamente questa sospensione, questa interruzione
Della modalità abituale, che ci rimette in contatto
Con la possibilità di una ri-centratura.

Di un agire che nasca da un ascolto.
Di un dire che nasca da un udire.

Allora la risposta è come se sgorgasse da sé,
da un’anima unificata.
L’azione giusta è quella che accade per l’intrinseca
Gioia del suo accadere, insegna Krishna nella Bhavagad Gita.

In questo tempo storico, in cui l’aumento indefinito
Di stimoli e di notifiche porta a risposte
Frettolose e diluite,
aumenta io credo questo senso di smarrimento.

Non sappiamo, letteralmente, che fare.
Il crescente bisogno di pratiche interiori è un segnale
Di un risveglio graduale delle coscienze,
che la vera domanda è sempre di nuovo:

“Ma Dove sono in questo momento?”.

Francesco Marabotti

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