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TAMBURI DI GUERRA BRITANNICI SULLA LIBIA
Gli analisti britannici si sono schiariti le idee dopo una settimana di chiusura dei pozzi libici, imposta dal governo di Bengasi in seguito al cambio del governatore della banca centrale libica.
Per loro, gli inglesi, è normale che un organismo non eletto a Tripoli, sostenuto da bande armate non riconosciute, deponga un governatore senza mandato e ne imponga un altro.
Ma se un governo sovrano chiude i rubinetti delle sue risorse energetiche in una dinamica di guerra di liberazione, loro lo aborriscono.
E allora?
Allora prepariamoci. I tamburi di guerra stanno rullando nel Regno Unito.
La nuova campagna africana sta per iniziare in Libia.
Un nuovo 2011 è all'orizzonte.
<Il nuovo governo britannico non deve permettere che questo accada>>.
https://www.telegraph.co.uk/news/2024/08/02/russias-war-games-extend-far-beyond-ukraine/
The Telegraph
Russia’s war games extend far beyond Ukraine. The West cannot afford to take its eye off the ball
The Kremlin leader has turned to Africa as a new frontier in which to promote his interests
L'URLO A BERLINO
L'11 settembre il film “L'urlo” sarà proiettato a Berlino presso il cinema Kino Moviemento.
In questo cinema, uno dei più prestigiosi e storici di Berlino, sono già stati proiettati in passato, tra il 2015 e il 2018, altri quattro miei lavori: “Isti'mariyah”, “Il ritmo di Gezi”, “Linea de fuga” e “Schiavi di riserva”.
In particolare quest'ultimo era un breve documentario girato in Sicilia intervistando giovani africani appena sbarcati.
Quel documentario, così come gli altri devo dire, è stato molto apprezzato, anche se molto semplice.
Ma è stato girato prima del giorno in cui, nell'estate del 2018, 6 anni fa, ho iniziato a trovare il modo di entrare in contatto direttamente via internet con i migranti in Libia.
In sostanza, quel lavoro aveva lo stesso difetto di tutti gli altri lavori sulla migrazione: riusciva a parlare solo con chi era già arrivato.
Da quell'estate del 2018, il mio modo di vedere il mondo è cambiato. È cambiato a forza di passare notti intere ad ascoltare i ragazzi schiavi in Libia che imploravano di tornare a casa.
Da quelle notti insonni è nato questo film.
La censura subita in Italia è nota, a partire dal veto del produttore alla distribuzione fino ai numerosi episodi di violenza e intimidazione.
Ora il film sarà proiettato nel cuore dell'Europa, a Berlino, sotto gli occhi di chi per anni, alle mie spalle, mi ha accusato senza prove né tribunali.
Anche questa volta ci metto la faccia. Se hanno qualcosa da dire sul film, non si lasceranno sfuggire questa occasione pubblica.
----------------
Per chi si trovasse a Berlino, è consigliata la prenotazione.
https://moviemento.de/film/lurlo-the-scream-attendance-of-the-filmmaker-michelangelo-severgnini/
L'URLO NON ESISTE. MA L'AFRICA SÌ
Nell'ultimo numero cartaceo de L'Indipendente porgo delle domande a Kouakou Hervé N'dri, migrante di ritorno ivoriano, fondatore di una rete contro l'immigrazione irregolare in Costa d'Avorio.
Le sue parole sono inequivocabili.
Come quelle che raccolgo da 6 anni direttamente dalla Libia.
Poi c'è la Chiesa Cattolica, Mediterranea Saving Humans e Casarini, Gabriele Del Grande e i ricercatori Giliberti e Palmas che hanno dato alle stampe il loro "Boza! Diari dalla frontiera" intervistando chi sbarca e non chi rimane indietro, poi c'è ZaLab e tutti i sorosiani a gettone, poi ci sono quelli che "non possiamo mica litigare con Mediterranea per causa tua" come la Ong Resq e Un ponte per... Poi ci sono quelli che Severgnini è divisivo e "la Libia conta così poco sullo scacchiere mondiale".
Però intanto c'è un'altra Africa che parla.
《E’ l'ignoranza che guida tutti questi giovani in Europa. Fuggono dalla sofferenza per ritrovarsi all'inferno, perché l'Europa del 2020 e l'Europa del 1990 non sono più le stesse.
La maggior parte dei migranti va in cerca di benessere, in realtà pochi sono quelli che riescono a farcela.
Le organizzazioni europee che svolgono attività di aiuto umanitario, per venire in soccorso dei migranti in mare, fanno il loro mestiere per guadagnarsi da vivere.
A volte lavorano in collaborazione con le reti di contrabbandieri africani. Oggi, se riusciremo a porre fine a questo flagello, molti di loro saranno disoccupati.
Per i nostri fratelli che sono riusciti ad attraversare e che sono arrivati in Europa e vivono in condizioni difficili laggiù: se non hanno il coraggio di dire la verità ai loro fratelli che sono ancora nei loro Paesi, noi che siamo ritornati abbiamo preso la decisione di dire la verità e di condividere le informazioni reali riguardanti l'Europa o riguardanti l'Africa》.
20 ANNI FA A BAGHDAD: QUANDO COMINCIÒ LA CENSURA
(parte 3)
LA CHIAMATA
Qualche giorno più tardi ricevetti una chiamata da “Terres des hommes”, la Ong che mi aveva concesso supporto logistico a Baghdad e che in qualche modo risultava come co-produttrice del lavoro.
Mi recai nel loro ufficio di Milano e il discorso che mi fecero, nell’autunno 2004, fu più o meno questo.
“Stupendo il documentario, complimenti. Tuttavia speriamo ci siano ancora margini per cambiare il titolo, o meglio il sottotitolo. Perché vedi, quella in Iraq non è più un’occupazione di fatto, a partire dalla risoluzione ONU 1483 del 22 maggio 2003. Quindi continuare a definirla un’occupazione sarebbe un giudizio politico e non la descrizione dei fatti. Giudizio politico legittimo e condivisibile, per altro. Ma non possiamo permetterci di fare politica. O meglio, non possiamo utilizzare i fondi per la missione in Iraq per fare politica.
E’ ciò che sta scritto nel contratto con il fondo dell’Unione Europea che sostiene la nostra missione. Ci consente di co-produrre documentari o materiale divulgativo, purché non contravvenga alle linee guida. Una di queste è quella di non esprimere giudizi politici. E la formula “Baghdad occupata”, purtroppo lo è”.
Guardai questo dirigente di “Terres des hommes” con gli occhi sgranati e le orecchie tese. L’unica parola che aveva un senso, “occupazione”, che avevo persino imparato a pronunciare in arabo dal tanto che le mie orecchie l’avevano sentita, veniva messa all’indice. E allora che dobbiamo dire con questo documentario se non possiamo usare la parola chiave?
“No, all’interno del documentario gli Iracheni sono liberi di esprimere la loro opinione, ovviamente, e di parlare liberamente. Ma nel titolo quella parola non ci deve essere”, mi dissero.
La censura delle Ong nei confronti del mio lavoro cominciò quel giorno.
20 ANNI DI CENSURA
Io ovviamente non cambiai il titolo. E così saltò la distribuzione con il Manifesto, Carta, l‘Unità e Liberazione.
Il documentario venne proiettato decine di volte nel corso dell’anno successivo, in eventi organizzati spontaneamente sul territorio italiano.
Da quel giorno mi fu chiaro che la sinistra in Italia e in Europa non fosse più all’interno di una dinamica di conflitto, ma all’interno di un gioco di ruoli.
Il presidente di “Terres des hommes” in quegli anni, Raffaele Salinari, era una penna sovente ospitata sulle pagine del Manifesto e di altre riviste di sinistra.
L’avanguardia del ragionamento politico da quel periodo in poi fu portata avanti da pensatori che per dare un nome alle cose avrebbero dovuto prima consultare gli standard della community.
Anche per questo a distanza di tanti anni ho sentito il bisogno oggi di realizzare un documentario come “Il crollo - diario genovese di quei giorni del 20001 al G8”. Per tracciare una traiettoria della sinistra italiana non a partire dalle pagine dei giornali, ma seguendo quelle parole non dette che hanno fatto più danni della guerra.
“Il crollo” è disponibile on demand a questo link: https://vimeo.com/ondemand/crollo
Qui il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=jHEni5FHML0&t=1s
20 ANNI FA A BAGHDAD: QUANDO COMINCIO' LA CENSURA
(parte 2)
Non ero lì per fare scoop, per rischiare la pelle, per avere qualcosa di scottante da rivendere una volta a casa, per far arrivare il mio nome sulle prime pagine dei giornali a seguito di un rapimento.
Come detto, ero lì per incontrare gli Iracheni e farmi raccontare la situazione da loro.
Io esco da quella scuola: il citizen journalism. E’ importante denunciare i crimini, com’è riuscito a fare Julian Assange anni dopo.
Ma non meno importante è incontrare la gente, raccogliere la loro visione sul campo, i loro bisogni, le loro denunce.
Fare una fotografia in movimento di quei mesi, partendo dal punto di vista degli Iracheni, mi pareva una cosa non secondaria.
Andò a finire che in quelle settimane imparai una nuova parola araba: الاحتلال, al-aihtilal, occupazione.
L’hanno ripetuta tutti coloro con cui ho parlato: imam sunniti e sciiti, cristiani, gente di strada e personaggi con incarichi pubblici, giovani come persone mature.
A furia di sentire questa parola, l’ho imparata, dal tanto che era presente nei loro discorsi.
Questa era la risposta che cercavo. Gli Iracheni vedevano la presenza militare straniera come un’occupazione, come un’azione di forza sopra le loro teste.
Non era scontato. Ne derivava che i martiri di Nassiriyah non fossero martiri. E allora, come oggi, non si poteva dire.
Non si poteva dire che la responsabilità della loro morte è a carico dei politici e dei generali italiani che li hanno mandati a occupare un altro paese. Non si poteva dire che chi ha compiuto quella strage l’ha fatto per resistenza e non per terrorismo.
Allora, come oggi, non si poteva dire.
Proprio come oggi non si può dire che l’attacco del 7 ottobre a Israele sia stato un atto di resistenza.
Non si può dire.
UNA DISTRIBUZIONE IN GRANDE STILE (CHE POI SALTO’)
Quando tornai in Italia questo materiale suscitò subito molto interesse. Nelle settimane successive fu rapita a Baghdad la giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena, la cui liberazione ha comportato l’uccisione del dirigente del Sismi, Nicola Calipari.
Qualche settimana più tardi furono rapite altre due operatrici italiane, poi liberate.
Fu rapito e ucciso invece il giornalista Enzo Baldoni.
Insomma, non solo avevo portato a casa la pelle, ma con me c’era anche del materiale interessante.
Quello fu anche di fatto il primo documentario da me realizzato con strumentazione professionale. Insomma, c’era interesse.
Nei mesi successivi al mio ritorno, una volta montato in tempi brevi il documentario, ancor prima di uscire, era già finito sulla scrivania di molte persone.
Si stava parlando ormai apertamente di un’uscita nelle edicole in concerto tra il Manifesto, Carta, L’Unità e Liberazione.
Tutti e 4 i direttori di queste testate avevano già visto il documentario e si erano dichiarate interessate ad una distribuzione congiunta.
Pierluigi Sullo, allora direttore del settimanale Carta (che aveva già pubblicato il mio primo documentario l’anno precedente, “Il ritorno degli Aarch - i villaggi della Cabilia scuotono l’Algeria”), scrisse un editoriale in cui già preannunciava il fatto e raccontava ai lettori i punti salienti del lavoro, ovviamente entusiasta di quel materiale.
METTI UNA SERA A COLLOQUIO CON IL TUO CENSORE
-17 ALL'URLO-DAY
(vedi foto nel post precedente)
Ieri sera ho preso parte al coraggioso dibattito pubblico presso il festival "100 afriche" organizzato a Milano da Africa Rivista.
Tra gli intervenuti sul palco stava Luciano Scalettari, presidente della Ong "Resq".
Il quale era presente in sala a Napoli il 25 novembre 2022, al Festival dei diritti umani di Napoli, quando la proiezione del film L'Urlo venne interrotta dopo 20 minuti.
Era in sala e non ha fatto nulla, mentre i suoi colleghi sbroccavano bloccando il film.
Impassibile.
Non si è sentito di intervenire.
Nemmeno il giorno seguente per condannare con due righe l'episodio.
Dice che non avrebbe compromesso i suoi rapporti con le altre Ong per difendere me.
Non ha capito che non avrebbe difeso me.
Avrebbe difeso il dibattito democratico, le regole del gioco, quel prezioso e fragile equilibrio che i partigiani riconquistarono con il sangue.
Ma lui no.
Se lui non è d'accordo con l'opera, il film può essere interrotto.
E chissà, magari si possono bruciare anche i libri, se a lui non piacciono.
Ah, e il migrante-schiavo intrappolato a Tripoli di cui abbiamo sentito un messaggio vocale ieri in sala?
Un "pinco pallo".
Un disturbatore insomma, che non chiede di essere salvato in mare, ma sovverte la narrazione fiabesca.
Anzi, "dammi il nome che lo denuncio". Sì, a chi, ai suoi carcerieri?
Gli do un consiglio. Quando si troverà a bruciare libri, stia attento a non prendere fuoco.
La sua coda di paglia è tanto lunga che non si chiudono le porte alle sue spalle.
IL NEMICO COMUNE: -22 GIORNI ALL'URLO-DAY
(vedi foto nel post precedente)
Lui è Mohamed Mahmud Ali. Non è famoso. Anzi, non lo conosce nessuno.
Però qualcuno, chissà, potrebbe riconoscerlo.
Coloro tra i rarissimi che hanno potuto vedere L'Urlo si ricorderanno la scena finale.
C'è un ragazzo minuto, strattonato da un libico in mezzo al deserto.
Quel ragazzo nell'Urlo è Mohamed.
Era l'ottobre 2019.
Mohamed nel frattempo ha raggiunto l'Italia, ha ricevuto presto i documenti, in pochi mesi, in quanto Somalo.
Poi è stato ospitato in uno Sprar per qualche mese. È stato ospite anche a casa mia per un po'.
Poi è finito in brutte storie.
Poi si è risollevato.
Ora lavora in un campeggio, pulisce bagni e bungalow.
Il suo sogno era studiare. Ma soldi non ce ne stanno.
Questo lui credeva quando lasciò la Somalia, ancora minorenne.
In un patto che nessuno aveva firmato (e del quale dunque nessuno oggi risponderà), gli era stato fatto credere che una volta in Europa avrebbe ricevuto casa, sussidi e accesso gratuito allo studio.
Il gioco allora valeva la candela.
Ciò che poi ha visto e patito in Libia lo sa solo lui.
Però Mohamed è forte. È dolce e già forte. È forte e ancora dolce. Nonostante tutto.
Non ha fatto il protagonista di un film pagato con i soldi pubblici per distorcere la realtà e sdoganare la schiavitù in Italia, non è un eroe.
Non ha avuto i riflettori, i tappeti rossi, i flash.
Esattamente come il regista che gli propose di essere se stesso davanti alla camera.
Ma il suo regista sapeva, in fondo, che sarebbe andata così. E glielo disse.
Alla fine lo ha capito anche lui.
Sono stato a trovarlo ieri, infilandomi clandestinamente nel campeggio dove lavora.
Ieri sera mi ha detto: "Noi Africani pensavamo di venire qui in Europa a fare i soldi. Non mi hanno dato niente. Anzi, ora sono io che faccio ricca l'Europa".
Sì, pulendo i cessi in un campeggio frequentato dalla "middle class" europea, che scende in Italia per bagnarsi i piedi ed elargire mancette a noi schiavi.
Poi ha aggiunto: "appena racimolo abbastanza soldi, me ne torno in Somalia, lì avrei una dignità".
Aveva ragione Thomas Sankara: "Le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune".
Già, abbiamo un nemico in comune, caro Mohamed.
Per questo, il 25 giugno prossimo,, dopo 3 anni di veto del suo produttore, L'Urlo sarà online, visibile a tutti, per decisione unilaterale del suo regista.
Questo non servirà a rendere Mohamed famoso e certamente neanche ricco.
Però il nostro nemico comune, quel giorno, si ricorderà di noi.
UNA STORIA ANTIDIPLOMATICA
2024, 75'
Un documentario di Michelangelo Severgnini
Prodotto da l'AntiDiplomatico
25 giugno 2014 - 25 giugno 2024: 10 anni senza elezioni in Libia.
La vera trama degli avvenimenti che hanno coinvolto il Mediterraneo negli ultimi 10 anni: guerra, petrolio, migrazione. Perché la Libia è ancora oggi una vittima della democrazia da esportazione, fatta di armi e non di voti. Perché è l'esempio vivente di un modello criminale, ormai fallito, ma ancora in piedi. Perché dall'Europa complice c'è reticenza a comprendere. E a raccontare.
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