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Tre lezioni che ci vengono dalla Francia
di Raul Mordenti* Ci sono tre aspetti delle recenti elezioni francesi che, credo, possono insegnarci qualcosa: la centralità dell’antifascismo, la necessità delle alleanze, il tentativo di costruire un nuovo blocco sociale. Contro ogni sottovalutazione (che avvertiamo spesso anche a sinistra), l’antifascismo si conferma un elemento basilare e permanente per ogni politica anticapitalista, e tanto più per i/le comunisti/e. L’opposizione antifascista alla Le Pen ha segnato una grande vittoria, sbarrando la strada a un Governo del RN e impedendo in Francia quella tendenziale unificazione di tutte le destre, sotto l’egida della guerra NATO, che in Italia si è verificata. La necessità di una intelligente politica di alleanze è la seconda lezione francese. Certo nel Nuovo Fronte Popolare con LFI e PCF ci sono anche i Verdi e i socialisti di Raphael Glucksmann (che in Italia corrisponderebbe a qualcosa di mezzo fra Renzi e un Giuliano Ferrara più magro), e sarebbe ingeneroso notare come nel programma del Fronte ci siano parti relative alla guerra in Ucraina per noi francamente inaccettabili. Ma la lezione resta: la tattica elettorale ha delle sue necessità ed evidentemente è apparso prevalente ai compagni francesi, nella situazione data, concordare un programma avanzatissimo sul terreno sociale (pensioni, salario minimo, tasse sui profitti, limiti alla violenza poliziesca etc.). Certo, fa sorridere (se non facesse piangere) il tentativo di intestarsi la vittoria francese da parte di chi, in Italia, ha considerato un tradimento del comunismo qualsiasi alleanza con chiunque, e perfino sul tema cruciale della pace, un’alleanza elettorale con limpidi pacifisti storici come Santoro e La Valle. Il settarismo e l’opportunismo vanno spesso braccetto, e le bugie fanno da necessario collante fra le due cose. Ad esempio dare colpa a Rifondazione per la fine di UP, la quale invece è tutta da mettere in conto ai veti irremovibili di Pap, veti settari perfino alla partecipazione di UP a manifestazioni della CGIl, o dell’ANPI, e infine veto alla Lista per la pace (tranne poi dare indicazione di voto per AVS, col bel risultato di mandare a Bruxelles chi si appresta a votare Ursula Von der Leyen!). Eppure in uno strano documento sulla “rana bollita” che gira in questi giorni senza firme (forse l’anonimato è una forma di pudore) si legge a proposito di UP: “prima che Rifondazione operasse per la sua rottura” (sic!). E perfino la sacrosanta partecipazione di Rifondazione all’alleanza promossa dall’ANPI per la difesa della Costituzione o alla raccolta di firme della CGIL per abrogare il job’s act renziano viene descritta come un “cambio di linea politica” rispetto alla purezza dell’alternativa e come “un rientro nell’alveo del centrosinistra”. Anzi di più: la politica unitaria di Rifondazione viene presentata dall’anonimo autore della “rana bollita” come un losco trucco dei nostri dirigenti per abituare i compagni pian piano (come la rana nella pentola) all’approdo nel centro-sinistra, e senza neppure dirglielo. Ma si può discutere così fra compagni/e, a colpi di sospetti e di calunnie? Ciò che sfugge completamente all’estremismo è che le alleanze sono e debbono essere anche variabili, si configurano come cerchi diversi e concentrici: sulla pace si può concordare con papa Francesco, senza per questo sposare i dogmi cattolici; in un cerchio di alleanze ancora più vasto si può partecipare alla lotta comune contro ogni autonomia differenziata o il premierato anche con la Schlein (se finalmente il PD ha cambiato linea su questi temi) senza per questo essere accusati di tradimento; così come si può sostenere i referendum della CGIL senza essere d’accordo con le politiche concertative del Sindacato, e così via. Questo dovrebbe valere anche per le elezioni amministrative in cui le differenti situazioni possono condurre i/le comunisti/e locali a compiere scelte diverse che,…
Il sogno di Lenin, l’iscrizione a Rifondazione Comunista
di Ezio Locatelli* -E’ stata una scelta politica ancor prima che rievocativa quella di dedicare la tessera del 2024 di Rifondazione Comunista a Lenin, a cent’anni dalla sua morte. Una scelta, volta a richiamare i molti motivi di attualità di un grande pensatore rivoluzionario e dirigente comunista il cui nome è indissolubilmente legato alla Rivoluzione d’Ottobre, l’uomo che ha segnato profondamente la storia del movimento operaio e socialista internazionale e della lotta di emancipazione di interi popoli oppressi. Innanzitutto l’impegno contro la guerra, il richiamo ad alcune parole d’ordine che tengono insieme la lotta per la pace con la lotta per la giustizia sociale, contro ogni forma di sfruttamento.“I socialisti – dice Lenin – hanno sempre condannato le guerre fra i popoli come cosa barbara e bestiale. Ma il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi (fautori e predicatori della pace) e degli anarchici”. Da essi “ci distinguiamo in quanto comprendiamo l’inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi all’interno di ogni paese…”.Si tratta di una indicazione fondamentale. Senza accortezza per questo legame, con la sola retorica della pace, con la riduzione della politica a politico, non c’è possibilità alcuna di distruggere la cultura dominante della guerra. Bisogna che esista una capacità di lotta, un’attivazione di forze conflittuali, di soggetti concreti capaci di modificare i rapporti di forza. Bisogna che cresca il protagonismo, il peso di larghe masse lavoratrici e popolari. Cosa possibile, oltre che necessaria, a condizione di stringere i temi della pace a quelli della lotta allo sfruttamento, alla povertà salariale, al carovita, alla cancellazione di fondamentali diritti sociali, detto in una parola alla lotta per la giustizia sociale. A condizione di dare risposte a milioni di persone che devono combattere quotidianamente per la propria sopravvivenza materiale.La tessera di quest’anno a Rifondazione Comunista è anche l’occasione per riscoprire, dal punto di vista pratico, l’enorme lascito di elaborazione e di azione politica di Lenin. Lukas definisce Lenin “un teorico della prassi” per porre in rilievo la sua capacità di combinare conoscenza, levatura teorica, azione pratica. La sua capacità di non perdere il filo conduttore di tutti i problemi quotidiani, politici ed economici, teorici e pratici, di agitazione e di organizzazione che egli riconduce all’attualità della rivoluzione proletaria.La pace stessa implica un processo rivoluzionario, la rimessa in discussione delle radici del sistema di guerra e sfruttamento. Nella miseria della politica di oggi si sono perse le tracce dell’idea di rivoluzione, di lotta di liberazione delle classi subalterne. Si badi bene, un’idea della rivoluzione che non significa che la stessa possa realizzarsi in qualsiasi momento, a prescindere da condizioni sociali , dal movimento reale, ma idea di rivoluzione che diventa unità di misura per ogni scelta politica immediata. Il che, sia detto, porta Lenin oltre che a essere fermo critico di ogni forma di dogmatismo e estremismo a essere strenuo oppositore dell’opportunismo interno ed esterno al proprio partito, a quello della maggioranza della socialdemocrazia europea che vivacchia alla giornata nelle pieghe del sistema capitalistico.Il compito del partito, per Lenin, è quello di agire sul piano organizzativo come fattore costitutivo di rapporti di forza, generatore di iniziative, organizzatore del conflitto sociale, dell’antagonismo di classe stando in stretto rapporto con le lotte e le sofferenze delle masse. Trasformare il socialismo in una forza significa questo, adempiere al compito di partito operante che impara dalla lotta e dai metodi di lotta delle masse, che promuove esperienze di radicalità democratica, di potere popolare, di autorganizzazione sociale.Una concezione del partito e della democrazia imperniata su un’idea…
Una nuova base militare incombe sul parco di San Rossore
Nilo Di Modica*La superficie interessata è di 130 ettari tra il parco e Pontedera. Il progetto, approvato nel decreto Infrastrutture il 24 giugno, deve essere convertito in legge entro il 24 agosto. Il 20 e 21 luglio il Movimento No Base ha indetto una mobilitazione «per bloccare questo ingranaggio della guerra» e il forte impatto sull’ambienteMezzo miliardo di euro di spesa per un’opera caratterizzata da «un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecnico amministrative» che comportano «un rilevante impatto sul tessuto socioeconomico a livello nazionale, regionale o locale». Sono queste alcune delle caratteristiche (come si legge nel testo del decreto-legge 29 giugno 2024, n. 89 Infrastrutture) della nuova contestata base militare che da più di due anni “aleggia” sul territorio pisano, fra il parco di San Rossore, Pisa e la vicina città di Pontedera, al centro di una procedura autorizzativa agevolata dalla natura “strategica” e atta alla “difesa nazionale”, blindata e vincolata dalla nomina di un commissario, identificato nel presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici Massimo Sessa, da sempre impermeabile alle richieste di rendere pubblici i dettagli del grande progetto.Nebbie che si sono diradate grazie all’opera d’indagine della sinistra radicale pisana e del suo consigliere comunale della lista “Una città in Comune” e Rifondazione Francesco Auletta, che documenti alla mano ha potuto snocciolare gli impressionanti numeri di una mega-struttura destinata ad ospitare il Gruppo intervento speciale del 1° Reggimento Carabinieri paracadutisti «Tuscania» e del Centro cinofili, due reparti d’élite da sempre impegnati in varie missioni militari all’estero. «Ancora una volta tutti sapevano e tutti hanno finto di non sapere – dice Auletta –. Ma ancora una volta li abbiamo smascherati, grazie alla determinazione propria delle lotte che nascono dall’amore e dalla difesa del territorio, e che vincono sulla patologica omertà e mancanza di trasparenza delle forze di centrodestra e centrosinistra che governano a livello locale e nazionale».Le previsioni di spesa circolate negli ultimi due anni, che parlavano al tempo di 190 milioni di euro da pescare peraltro nel Fondo sviluppo e coesione e non nelle spese militari dirette, altra nota dolente, erano alquanto ottimistiche: per la nuova base adesso si parla infatti di una cifra pari a 520 milioni di euro. Solo le strutture, che avranno il loro centro operativo nella località di San Piero a Grado, richiederanno una spesa di 400milioni di euro. Senza considerare i 120 milioni destinati alla bonifica del reattore nucleare dismesso e mai bonificato presente all’ex Centro interforze Studi per le Applicazioni militari (Cisam). Soldi «già previsti e dovuti da oltre 20 anni come ribadito anche in una recente relazione della Corte dei Conti» fa sapere Auletta.«Come era stato ampiamente previsto e denunciato dal Movimento No Base e dai tanti che come noi si sono sempre mobilitati contro quest’opera, il nuovo progetto della base militare nel cuore del Parco di San Rossore e per una parte anche a Pontedera, frutto dell’intesa bipartisan, è ancora più impressionante di quello pensato da Draghi e Guerini nel 2022 nell’area di Coltano – spiega il consigliere Auletta –. Non solo sono più che raddoppiati i costi e quindi le risorse sottratte ai bisogni sociali, ma sono raddoppiate anche le superfici verdi che questa opera bellica occuperà con un devastante impatto ambientale. Di questi, come abbiamo denunciato già negli scorsi giorni, 92.5 milioni sono già stanziati per il primo lotto: 72.5 con il Dpcm del 9 maggio 2022, e 20 milioni con DL infrastrutture. I primi vengono dal Fondo di Sviluppo e coesione, mentre i secondi dal ministero delle infrastrutture, con l’intento non dichiarato, ma evidente, di avviare i cantieri entro la fine dell’anno. Per i restanti 400 milioni di euro…
L’erba del vicino è sempre più verde?
Ramon Mantovani In questo articolo non mi propongo di analizzare ed esprimere pareri sui risultati elettorali francesi di domenica scorsa. Mi riconosco nelle posizioni espresse da Maurizio Acerbo. Mi preme però cercare di dimostrare che grandissima parte dei commenti e degli articoli sulle elezioni francesi, sia di giornalisti sia di esponenti politici di sinistra, sono superficiali e spesso fuorvianti principalmente per due motivi:1) si leggono i risultati elettorali francesi indicandoli come esempio di una politica che sarebbe applicabile anche in Italia. Curiosamente sono indicati come esempio da seguire sia da chi li indica come dimostrazione della necessità di fare una larga coalizione contro la destra italiana, sia da chi pensa che invece siano il risultato di aver evitato negli anni scorsi di fare alleanze della sinistra di classe, o radicale o antisistema che dir si voglia, con il centrosinistra francese (che per altro non esiste e non è mai esistito a meno che non lo si identifichi nel Partito Socialista e non in una coalizione).2) si evita accuratamente di analizzare i voti nel contesto del sistema istituzionale francese e soprattutto si ignorano, secondo me per la classica ignavia dei giornalisti italiani, tanto provinciali da paragonare risultati prodotti da sistemi completamente diversi come se fossero invece omogenei, e da parte di dirigenti politici di primo piano della sinistra ed anche del PRC, le peculiarità del sistema elettorale francese che permette cose che in Italia con il maggioritario bipolare sono semplicemente impossibili. Non farò qui una lunga dissertazione sulla natura del sistema semipresidenziale francese e sul sistema elettorale a due turni applicato in tutte le elezioni generali e locali. Ma, per capire il voto di domenica, bisogna pur tenerne conto. E allora va detto che in Francia tanto alle elezioni presidenziali, come alle politiche e alle regionali e municipali, al primo turno una forza di sinistra antagonista può tranquillamente presentarsi senza che il Partito Socialista, e gran parte dei mass media, facciano una campagna per il voto utile per battere le destre (liberali o estreme fa lo stesso). È così vero che per esempio la LCR (Lega Comunista Rivoluzionaria) si è largamente presentata sia alle elezioni presidenziali che alle politiche e alle locali, ottenendo anche risultati notevoli, ma senza mai eleggere nessuno al parlamento francese. E il PCF, avendo da sempre stipulato un accordo di desistenza al secondo turno con il PS per cui il candidato del collegio meglio collocato veniva favorito dal ritiro al secondo turno del candidato peggio collocato, ha sempre eletto deputati anche se in numero minore del PS. In Francia alle elezioni del secondo turno sono ammessi tutti i candidati che abbiano superato il 12,5% dei voti, e così alle ultime elezioni in più di 300 collegi c’erano 3 candidati e in 5 addirittura 4. Si può dire che si possono paragonare risultati prodotti da questo sistema elettorale con quelli prodotti dal maggioritario italiano che obbliga a fare coalizioni PRIMA del voto, dove c’è uno sbarramento e quindi dove chi non è interno a uno dei due poli rischia di disperdere i voti o comunque di far vincere il polo di destra? Si può paragonare il voto in un paese come la Francia dove l’estrema destra è esclusa a priori da qualsiasi alleanza dalle forze della destra liberale? Si può indicare come esempio, mentendo, che prima il Partito della Sinistra fondato da Melenchon con una scissione del Partito Socialista, e poi la France Insoumise fondata nel 2016 per le Presidenziali del 2017, che comprendeva anche il PCF ed altre forze minori (non il NPA ex LCR né Lutte Ouvriere), non si sia alleato al secondo turno in molte regioni e comuni francesi con il PS? È assolutamente vero che le lotte sociali e il sindacato maggioritario (CGT) hanno combattuto fortemente e hanno messo in crisi il PS in tutto questo periodo, ma mai né il Partito della Sinistra e successivamente…
La storia di Longo, un grande politico
di Aldo Tortorella -La biografia di Luigi Longo scritta da Höbel sfata l’immagine riduttiva di un uomo a lungo considerato soprattutto un comandante partigiano, restituendo il ritratto di un capo politico colto e lungimirante, uno dei protagonisti della peculiarità del Pci. Il lungo rapporto di collaborazione con Togliatti.In una encomiabile ricerca che dura ormai da molti anni Alexander Höbel sta ricostruendo con scrupolo rigoroso di storico e partecipazione umana (senza di cui un autentico biografo è, credo, impensabile) la vita e l’opera, poco o male conosciute dai più, di un protagonista tra i maggiori della storia dell’antifascismo, della Repubblica italiana e del Pci. Ispettore generale delle brigate internazionali accorse a difendere la repubblica spagnola dall’aggressione dei fascisti di Francisco Franco, capo delle brigate Garibaldi e vicecomandante dell’esercito partigiano nella Resistenza italiana, più volte incarcerato e confinato in Italia e in Francia, parlamentare dalla Costituente in poi, vicesegretario e poi segretario del Pci che aveva contribuito a fondare, Longo ha percorso in prima fila tutta la vicenda politica italiana e del movimento operaio e comunista internazionale dagli anni Venti del Novecento fino alla morte nel 1980, a ottanta anni esatti, figlio del secolo e interprete tra i più lucidi del “secolo breve”. Di questa vita e di questa opera Höbel ci ha già dato una anticipazione con un denso volume sul corso politico seguito dal Pci per opera di Longo durante la sua segreteria (19641972). Ora con Luigi Longo, una vita partigiana (19001945) (prefazione di Aldo Agosti, Roma, Carocci, 2013, pp. 374), Höbel ci dà la prima parte della biografia del dirigente comunista: dalla nascita in una famiglia contadina del Monferrato sino alla vittoriosa conclusione della Resistenza.Si tratta di un libro notevole innanzitutto perché l’accurata ricerca dell’autore sfata una serie di false opinioni su Longo, spesso alimentate da lui stesso. Longo aveva il vezzo, forse l’unico in un carattere naturalmente riservato e educato alla severità verso se stesso dalla famiglia e da tanti anni di clandestinità e di lotte con il partito e dentro il partito, di voler apparire come uomo semplice e contadino, lontano da ogni complicazione intellettuale. In più la sua vita di comandante partigiano in Spagna e in Italia, diventata quasi mitica, contribuiva a creare attorno alla sua figura un aura guerresca (De Gasperi disse una volta in parlamento di temere le truppe del “generale Longo”), lontana dalla immagine del politico creatore di una idealità e di un orientamento anche perché culturalmente attrezzato, come era, per esempio, Togliatti. Ma erano, questo vezzo personale e quest’aura militaresca, il contrario del vero. Longo, come si vede in questo libro, è stato uno dei principali creatori della unicità del Partito comunista italiano, un capo politico colto e lungimirante.La famiglia di contadini piccolissimi proprietari, poi diventati osti a Torino, da cui veniva Longo, vive la vita dei poveri e delle lotte operaie durante la prima guerra mondiale: è l’antefatto rapidamente illustrato in questo libro, un antefatto che pesa molto, perché è a contatto con la sofferenza dei più poveri che si risveglia nell’adolescente, scolaro modello, il primo sentimento di rivolta. Le sorelle sono avviate al lavoro, mentre per lui, che ha dimostrato forte attitudine, i genitori si sacrificheranno perché prosegua gli studi. Di che tempra laconica fossero lui e sua madre lo dice il reciproco saluto quando, a diciotto anni, parte per andare soldato. Lui: «Allora vado». La madre: «Abbiti riguardo». Le madri spartane, al confronto, erano prolisse.La guerra gli viene risparmiata per poco (gli ultimi ad andare al fronte furono i ragazzi del 1899), ma la vita in caserma lo convince ancor più che c’è tutto «un sistema» da cui derivano «guerra, miseria, brutalità, ignoranza». Il giovane socialista, e poi dirigente della organizzazione…
Il 6 luglio a Latina, contro omicidi sul lavoro, sfruttamento, razzismo e per abolire la Bossi Fini
Stefano GalieniIl 2 luglio di due anni fa, spariva, nelle campagne del ragusano Daouda Diane, mediatore culturale che era impegnato nella difesa dei diritti di chi lavorava nell’agricoltura. Ha dato evidentemente fastidio a chi gestisce i campi come se si fosse nelle piantagioni di cotone degli Usa, più di 150 anni fa. Domenica notte a Roma, nel quartiere più multiculturale della città, altro episodio, apparentemente distante. Una vera e propria aggressione a sfondo razziale. Il fatto sembra originato da un gruppo di adolescenti italiani, tre ragazzi e tre ragazze, che prendono di mira alcuni bambini indiani tra i 6 e 15 anni che stavano giocando a calcio. Una sera estiva in cui è “normale” che i tre ragazzi italiani rubino la palla ai bambini e iniziano a giocare tra loro. Nel frattempo, secondo la ricostruzione le tre ragazze italiane, sedute su una panchina, hanno cominicato a insultare i bambini. “Tornate nel vostro paese. Indiani di merda. Negri. Questa è casa nostra”. Una delle ragazze, in particolare, usa parole violentissime contro una quindicenne indiana, nata in Italia, che era in strada per guardare il fratellino, che la sera stessa avrebbe compiuto 9 anni. La 15enne, stupita dal tenore degli insulti, chiede spiegazioni: “Ma non hai niente di più intelligente da dire?”. E la risposta dell’italiana è netta: “Sono razzista, hai qualche problema?”. Terzo episodio, oramai noto. Il 17 giugno, un lavoratore agricolo, in provincia di Latina, Satnam Singh, di 31 anni, utilizzando un macchinario subisce l’amputazione di un braccio. Il suo “padrone”, così bisogna rivolgersi ai sedicenti datori di lavoro che pagano al nero 4 euro l’ora per un lavoro infernale, fa caricare Satman Singh su un furgone e scarica il corpo che perdeva sangue, davanti casa del lavoratore per liberarsene, dopo aver messo il suo braccio in una cassetta e dopo aver sequestrato a lui e alla sua compagna i cellulari per impedire di chiamare i soccorsi. Satman Singh muore dissanguato due giorni dopo. Ci sono già state due manifestazioni a Latina, i genitori sono arrivati nella città e sabato 6 luglio la Cgil ha indetto una manifestazione nazionale con una piattaforma che parte dalla necessità di abrogare, non emendare, ma cancellare dal nostro ordinamento la legge Bossi Fini. Rifondazione Comunista sarà presente, perché questo è l’ennesimo omicidio sul lavoro che rischia di restare mero fatto di cronaca, fatto impunito. Non a caso uno degli indagati per questo crimine si è difeso dicendo che “la colpa era del lavoratore. Non avrebbe dovuto avvicinarsi a quel macchinario”. Leghiamo insieme questi tre episodi, chissà quanti sono quelli non denunciati per timore o perché non hanno avuto conseguenze più gravi, per affermare che il razzismo di Stato, che fa il paio con un sistema legislativo fondato sullo sfruttamento del lavoro migrante e con una cultura diffusa di xenobia, non nasce oggi e non può essere ricondotta a difficoltà adolescenziali ma prefigurano una visione dei rapporti sociali che ha fatto egemonia. Chi li ha sdoganati nel governo Meloni ha avuto un lungo periodo per coltivare questo veleno spesso senza ricevere alcuna reale opposizione politica, sociale e culturale. Oggi l’Italia è questo come è il mondo diffuso dell’associazionimo che supporta le Ong, che opera per costruire convivenza pacifica, che realizza splendide esperienze di coesione sociale spesso senza avere il minimo supporto dalle istituzioni preposte anzi, venendo anche avversate o peggio ancora criminalizzatte. Si vuole cambiare registro? O si sta da una parte o dall’altra, non ci possono essere zone grigie in cui si resta in silenzio per il timore di perdere consensi.Riportiamo per provare ad introdurre ulteriori elementi di analisi, un articolo pubblicato su www.transform.itLatina Europadi S. Galieni,R. ScapinelliL’omicidio efferato di Satman Singh non è un fatto di cronaca. Non solo perché esistono…
Ursula von der Leyen e la Ue. Ancora cinque anni?
Roberto Musacchio*L’asse strategico della Ue sono sempre più guerra e il riarmo. Ma di fronte alle incognite drammatiche del presente e del futuro, una idea di Altra Europa, per la Pace, la democrazia, i diritti, sociale e ambientale, sarebbe indispensabile.Poche ore dopo che il Consiglio europeo aveva varato le tre nomine apicali confermando Ursola von der Leyen a presiedere la Commissione europea, si è svolto il primo confronto televisivo tra Biden e Trump per le presidenziali Usa di novembre e, a leggere i giornali, non è stato buono per Biden.
Sarà bene tenere d’occhio entrambi i percorsi, nuova governance Ue e presidenza degli Stati Uniti, perché l’intreccio è evidente. Quello storico tra Europa (è ancora più largo dopo l’’89) e Usa. Quello legato alla priorità che lega l’Unione europea e Biden e cioè lo scontro di lunga durata con la Russia. E che fa di Trump un riferimento per molte destre radicali europee, e non solo europee.Ma partiamo dal Consiglio Europeo. Qui si prova a confermare gli attuali assetti. La priorità intergovernativa. L’asse franco tedesco. L’accordo tra popolari, socialisti e liberali. La triade indicata è Von der Leyen, Costa, Kallen. La prima passò cinque anni fa al vaglio del Parlamento Europeo per pochissimi voti. Ha gestito la pandemia in asse con le multinazionali con problemi di trasparenza e opponendosi alle richieste di sospendere i brevetti. Ora ha fatto una campagna per la riconferma tutta centrata sul riarmo europeo e la guerra di lunga durata contro la Russia.l’ex presidente portoghese Antonio Costa, indicato a presiedere il Consiglio Europeo, ha appena perso le elezioni portoghesi ed è un socialista mediterraneo di un Paese che ha pagato duramente l’austerità. Kaja Kallas, proposta come alta autorità agli esteri, è premier estone fortemente anti russa.
Meloni si sarebbe astenuta (uso il condizionale perché i Consigli sono poco trasparenti) su Von Der Leyen e avrebbe dissentito sugli altri due. Problemi di rappresentanza per l’area della destra europea che presiede, l’Ecr, ma anche per l’Italia come Paese. Gli spifferi su una candidatura di Enrico Letta per il Consiglio sono rimasti tali.Ora c’è il passaggio in Parlamento Europeo. Ma prima le elezioni francesi. Quelle europee non hanno certo dato buoni esiti per i governi di Francia e Germania. E c’è la formazione dei gruppi al Parlamento Europeo.
Si possono già vedere le manovre per sostenere le scelte e garantire i numeri, mandando segnali o operando mosse. I Verdi europei hanno posto il tema di un loro ingresso in maggioranza. Vedremo se lo considereranno bruciato dagli assetti proposti dal Consiglio oppure ci saranno margini parlamentari. Poi ci sono le convergenze con le destre su dossier importanti. Ad esempio le politiche migratorie e il tema di esternalizzare fuori dalla Ue le procedure di asilo su cui settori della “maggioranza” si sono detti disponibili.Sugli assetti generali della Ue il metodo intergovernativista si va rafforzando e questo incontra l’idea di una Europa delle nazioni, magari presidenzialista, cara alle destre. Che per altro potrebbero ulteriormente articolarsi con un nuovo gruppo con i “più estremi”. Soprattutto c’è la guerra di lunga durata con la Russia con il riarmo strategico. Von der Leyen, come detto, li ha posti al centro della sua campagna elettorale. E stanno al centro dei tre punti del Consiglio, tra economia e democrazia. Qui le convergenze sono larghissime.La Ue ha scelto questa opzione strategica in asse con Biden. È da vedere cosa potrebbe succedere con una presidenza Trump che magari abbia altre priorità conflittuali: la Cina. E che avrebbe una ascendenza politica e geopolitica su famiglie politiche e Paesi.
Intanto è tornato il Patto di stabilità e con esso l’austerità mentre la situazione economica anche di Paesi forti come la Germania non è certo rosea.Qualcuno ha chiamato tutto questo “stabile instabilità” quella di un capitalismo finanziario globale che fa il surf…
VERSO IL CONGRESSO: CONTRO LA GUERRA, PER LA COSTITUZIONE (Documento approvato dal CPN del PRC nella riunione del 29-30 giugno)
Il Comitato Politico Nazionale ringrazia tutte le/i militanti del partito che hanno dato il loro contributo nella campagna elettorale europea con la consapevolezza che la lotta per la pace per le/i comunisti è il terreno prioritario nel momento in cui un capitalismo sempre più finanziarizzato affronta le sue contraddizioni con una “guerra mondiale a pezzi” in continua escalation che ci pone di fronte al rischio sempre più concreto di conflitto nucleare.PACE TERRA DIGNITA’Il risultato della lista PACE TERRA DIGNITA’ è certo insoddisfacente dato che non è stato raggiunto il quorum e anche per le aspettative che la lista per la pace aveva suscitato. Va però sottolineato che PTD ha ottenuto il nostro risultato migliore dell’ultimo decennio.L’elemento essenziale di bilancio è politico: rivendichiamo di avere fatto la giusta lotta, quella per mettere al centro della discussione pubblica in Italia e in Europa la questione della guerra.È stata una grande campagna pacifista, la più grande da molti anni a questa parte.È stata una grande campagna contro la propaganda di guerra in tutti gli spazi mediatici disponibili e in centinaia di piazze, teatri, incontri. La lista ha portato dentro la competizione elettorale un punto di vista contro la guerra chiaro, senza sconti per chi porta la responsabilità della scelta della subalternità alla NATO e agli USA. Abbiamo invitato a disertare e rifiutare di farsi arruolare da un Occidente suprematista, neocolonialista e neoimperialista, in aperto scontro con le altre potenze. Abbiamo dato voce alla richiesta di cessate il fuoco in Ucraina, come condizione per rilanciare un programma di giustizia sociale e ambientale. Abbiamo cercato di dare voce – anche attraverso le candidature di esponenti della comunità palestinese – all’indignazione per la complicità italiana e europea con il genocidio che il governo Netanyahu sta commettendo a Gaza.Abbiamo posto le questioni cruciali di questo momento storico di scontro sempre più diretto tra Stati Uniti/NATO e Russia, Cina e resto del pianeta mentre tutto il sistema politico-mediatico ha evitato di far emergere la drammaticità della situazione. Ci ha penalizzato il fatto che nell’ultimo decisivo mese di campagna elettorale lo schieramento trasversale a favore del proseguimento del conflitto ucraino ha preferito evitare lo scontro e la polemica con chi come noi è contro la guerra per non entrare in conflitto con il sentimento popolare.La proposta di una lista unitaria per la pace poteva essere una grande occasione per lanciare dall’Italia un messaggio forte a tutta l’Europa. Purtroppo la resistenza delle altre formazioni politiche della sinistra alla convergenza in un’aggregazione che mettesse “la pace al primo posto” ha determinato molti mesi di stallo durante il quale il progetto avrebbe potuto crescere nel paese coinvolgendo i territori. Il rifiuto di AVS si è accompagnato alla speculare chiusura settaria di PAP che ha portato alla crisi e al blocco del progetto di Unione Popolare di cui va preso atto l’oggettivo esaurimento. Continueremo come sempre a lavorare e cooperare con tutte le formazioni della sinistra anticapitalista e antiliberista, ma è evidente che non vi sono le condizioni politiche per proseguire nella costruzione di una soggettività unitaria essendo stato manifestamente negato l’impegno per l’unità del fronte pacifista che era alla base del progetto originario di UP. E’ giusto affidare al dibattito congressuale il tema delle forme e delle modalità di relazione e dell’aggregazione della sinistra popolare, anticapitalista, antiliberista, pacifista, femminista e ambientalista.Con Michele Santoro e Raniero La Valle, e tutte le personalità e i gruppi che hanno condiviso l’esperienza della lista, intendiamo verificare la possibilità e le modalità per proseguire le iniziative di Pace Terra Dignità come movimento contro la guerra con la convinzione che nel nostro…
Il 25 aprile, che sia giorno antifascista e soprattutto contro ogni guerra.
Rita Scapinelli*Anche quest’anno la ricorrenza del 25 aprile, anziché essere una giornata di festa per tutti gli italiani, e ripeto per tutti lo dovrebbe essere, diventa oggetto di polemiche e di discussioni. A maggior ragione lo è da quando abbiamo al governo del paese una forza che pur non dichiarandosi apertamente fascista, non taglia i legami con le sue origini che, lo ricordo, sono quelle del MSI (Movimento Sociale Italiano nato dalle ceneri del partito fascista, formato da reduci della Repubblica di Salò). Il simbolo della fiamma tricolore è ancora presente nel simbolo di Fratelli d’Italia e i suoi esponenti, a partire proprio dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, non riescono neppure a nominarla la parola antifascista . Molto probabilmente per loro il 25 aprile è una giornata di lutto!Ma quando pensiamo al 25 aprile, a noi cosa viene in mente immediatamente? Che è la festa della Liberazione dal fascismo e dal nazismo, Liberazione dalla dittatura di Mussolini, Liberazione dalla violenza, dalla assenza di Libertà di espressione, di pensiero politico, Liberazione dal divieto di dissentire dalle scelte politiche del governo.Che è la festa della Liberazione che ha permesso al popolo italiano di avere una Costituzione che mette al primo posto il lavoro, i diritti inviolabili dell’uomo, la dignità sociale, la parità di “sesso, di razza e di religione e il ripudio della guerra”.E tutti i componenti del governo hanno giurato sulla Costituzione antifascista di rispettarla e difenderla. Mai giuramento fu così falso! Basterebbe guardare solo l’ultima delle cose menzionate, il ripudio della guerra.l’Italia dovrebbe ripudiare la guerra come è scritto nell’art. 11 della nostra Costituzione, come strumento per risolvere le controversie internazionali e invece quell’articolo viene continuamente violato con l’approvazione ripetuta di invio di armi in Ucraina, con l’aumento delle spese militari per il riarmo, con la vicinanza spesso manifestata al capo di governo israeliano che bombarda i civili palestinesi e affama donne e bambini. Noi dovremmo identificare la guerra stessa, qualsiasi guerra, come un genocidio, quel genocidio che si sta perpetrando a Gaza.E se guardiamo anche alle proposte di legge di riforma istituzionale che questo governo di destra intende realizzare come quella sull’autonomia differenziata, che ormai sta arrivando a compimento, e il premierato, notiamo che il vero scopo è quello di stravolgere definitivamente il modello sociale e istituzionale che si regge su quella Costituzione che dovrebbe essere difesa.Aggiungiamo anche che, da quando c’è questo governo in carica, vi è un rifiorire di manifestazioni e iniziative di organizzazioni neofasciste, che escono allo scoperto e agiscono liberamente, legittimate e tutelate da uno sdoganamento del fascismo in atto già da tempo, in contrasto con la XII Disposizione della Costituzione.Per non parlare del diritto al dissenso che viene continuamente messo in discussione, vedi le manganellate date agli studenti che manifestavano pacificamente contro la guerra in Palestina, o le censure rispetto agli interventi degli intellettuali o all’attacco al diritto di sciopero ad opera di Salvini.E’ una destra questa al governo reazionaria, autoritaria che vuole stravolgere la storia attraverso il revisionismo per modificare la memoria collettiva, demonizzare la Resistenza e stravolgere la Costituzione.Questo 25 aprile assume quindi un significato ancora più importante: ribadisce la nostra lotta a tutti i fascismi del 21° secolo e la nostra difesa ad oltranza della Costituzione.Quando, nel 1945, l’intera Italia si trovò, grazie alla Resistenza, libera dalla tirannia del ventennio, per coloro che poterono scendere in strada, quel giorno rappresentò il primo momento di pace in cui si poteva ricominciare a lottare per un futuro migliore. Oggi che la guerra mondiale a pezzi minaccia l’intero pianeta, abbiamo il dovere di…
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