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«… Se usassimo sempre questa logica andrebbe a finire che non mangiamo più le mele, per via di Adamo ed Eva e dell’uso che fecero di questo frutto. Dire presente significa che quella persona vive nel nostro ricordo e nel nostro affetto. E questo è davvero molto bello e basta da solo a seppellire interpretazioni che non ci appartengono affatto».
Sarà forse questa ordinata semplicità a far imbizzarrire i nostri avversari e, forse ancor di più, la circostanza che vede nei nostri ricordi sempre citati con rispetto i morti dell’altra parte, della loro parte. Troppo spesso ignorati dalla sinistra.
Tutto così giusto nella sua autenticitá e sobrietà. Nessuno l’avrà vinta nell’imporre i suoi pregiudizi. La nostra presenza qui significa che Francesco Cecchin “vive nel nostro ricordo e nel nostro affetto. Davvero molto bello e basta da solo a seppellire interpretazioni che non ci appartengono affatto”.
Ciao Francesco, amico nostro, una montagna assalita dalle pulci neppure sente il prurito.
FRANCESCO CECCHIN, LA MORTE HA PERSO. SIAMO NOI LA TUA VERITÁ
Il 16 giugno 1979 Francesco Cecchin, ragazzo di destra non ancora diciottenne, moriva assassinato. Accadeva quasi mezzo secolo fa, c’era un altro mondo allora nel quale chi voleva promuovere le proprie idee rischiava le botte o la vita: a scuola, all’università, nel quartiere. Capitava soprattutto ai ragazzi di destra, ma sono stati ammazzati anche molti giovani di sinistra, altrettanto innocenti. Una violenza fratricida che chiamava sempre altro sangue, nella logica perversa di una vendetta che diffondeva dolore non rimarginabile. Spirale infinita. Le famiglie piangevano, le fidanzate si disperavano, gli amici talvolta finivano in brutti giri, storditi dalla tragedia, gli inquirenti realizzavano indagini all’acqua di rose, i colpevoli infine non pagavano mai. Il sistema se la rideva perché gli opposti estremismi lo rinsaldavano nonostante fosse impresentabile, corrotto, servile, inefficiente.
A risarcire la mancata giustizia per quei ragazzi uccisi a vent’anni provvidero simbolicamente i loro fratelli, con ricordi che si sono riprodotti per incanto ogni anno, per decine di anni. Andrebbero rispettati nella loro limpida celebrazione di lutti antichi, apprezzati nella resistente cultura del dono, ammirati mentre si danno il cambio - mano sul cuore - presidiando i luoghi dove i loro coetanei furono privati del diritto a vivere. Invece no, alcuni media si accaniscono e li criminalizzano, unitamente ad avversari impenitenti, non vogliono capire quel desiderio di non tradire i propri coetanei, non tollerano che centinaia di giovani rifiutino l’impunità degli assassini e rivendichino ancora il diritto alla giustizia. Per loro farebbero meglio a mollare, non sono allenati a vedere un’abitudine diventare costume. Non sembrano interessati a comprendere le ragioni di un giuramento di fedeltà che si rinnova nel tempo. E preferiscono la scorciatoia della cronaca spicciola, la ricerca del colore a tutti i costi che rinverdisca un pericolo che non c’è.
Abbiamo vegliato Francesco Cecchin sul luogo dell’aggressione per i 19 giorni del suo coma, finché non si addormentò per sempre. E così quella grande emozione si è proiettata nel tempo e ogni anno riaccade nella notte tra il 15 e il 16 giugno, oggi sono 45 volte. Beati e santi non hanno lo stesso trattamento.
A piazza Vescovio da qualche tempo si danno appuntamento tanti gruppi di varia estrazione e orientamento politico. Molto diversi tra loro.
La nostra comunità è stata imprescindibile nel rinnovare questa tradizione mettendola al riparo da nostalgismi e passi indietro. Si raccoglie in silenzio, ripercorre con i racconti dei più anziani quei giorni bui, si concentra per sentire battere ancora il cuore di Francesco e rinnovare anche nel suo nome il quotidiano impegno di militanza e servizio alla comunità nazionale.
Ma non basta tanta bellezza. Quelli che non hanno processato i suoi assassini ora vogliono processare noi. Non accettano che ci si ordini in file composte, loro che sono abituati al disordine anche di fronte alla morte, che tutti insieme si stia sull’attenti. Non gli va a genio nemmeno che si porti la mano sul cuore o che ci si stringa indistintamente la mano o il braccio, consuetudine che viene dallo sport oltre che dall’antica Roma. Quale sarebbe lo scandalo? Infine, nel rovistare morbosamente nel secolo scorso, si insinua che gridare ‘presente’ sia un segno di ‘fascismo’. Non è così. Si tratta infatti di una tradizione che proviene dal Risorgimento: quando un soldato perdeva la vita in battaglia si scandiva il suo nome e tutti rispondevano ‘presente’. Nei decenni successivi questa modalità si propagò fino a generare il meraviglioso sacrario di Redipuglia, con 22 gradoni con su scolpito ‘presente’ che custodiscono centomila caduti nella Prima Guerra mondiale. Lo si dovrebbe demolire? L’Associazione nazionale alpini, rispondendo a una domanda sulla sua presunta origine fascista del ‘presente’ dice:
"Mi chiedono se conviene cantare questa Europa, so solo che e' giusto il resto non importa..."
E l'abbiamo cantata la nostra Europa: nelle decine di campi comunitari facendo pulsare i nostri cuori all'unisono e facendo vibrare le corde dell'anima. E l'abbiamo gridata la nostra Europa nelle strade: quella dei campanili, dei legionari di Fiume, degli eroi di Roma, Sparta, Atene, dei giovani sacrificatisi per essa, di chi contrappose il sangue all'oro. E l'abbiamo scritta centinaia di volte sui nostri manifesti: "Europa, Nazione, Rivoluzione", perché semplicemente fa parte del nostro dna sognare un'Europa diversa.
L'Europa libera dai blocchi, l'Europa sovrana, l'Europa dei popoli, l'Europa delle identità e della sua millenaria tradizione e civiltà da custodire; niente a che fare con l'Unione Europea delle banche, dei tecnocrati, dello spread, dell'uomo ingranaggio, della disgregazione sociale, l'Unione Europea in cui tutto è fluido e tutto è in vendita. Per noi il tempio è sacro perché in vendita non è, perché mercanti non lo saremo mai.
È questa visione di Europa che noi vogliamo portare: con Stefano Tozzi che della nostra Comunità rappresenta un fulgido esempio di dedizione, di impegno quotidiano, di militanza pura e disinteressata partita da quell'antica grotta in Via delle Terme di Traiano 15a. Con Stefano Tozzi che rappresenta la medesima origine, i medesimi sentimenti e la medesima aspirazione fondamentale.
Ed è con la stessa Rabbia e lo stesso Amore che ci contraddistingue andiamo in Europa per potere non solo continuare a sognarla ma costruirla, pezzo dopo pezzo, non cedendo di un passo di fronte a chi vorrebbe colpirne lo spirito eterno di cui siamo eredi.
Dai rioni all'Europa, con lo stesso stile militante, Stefano Tozzi.
Lavoro su tela.
Omaggio per i ragazzi della Barriera Torino ??
SCEGLI LE SPERANZE NON REALIZZATE, DESIDERANDO DI AVER AGITO DIVERSAMENTE.
SCEGLI DI NON IMPARARE MAI DAI TUOI ERRORI. SCEGLI DI OSSERVARE LA STORIA CHE SI RIPETE!
SCEGLI!
La nostra società sta vivendo un aumento smisurato dell’uso di droghe, soprattutto nella nostra generazione ma la droga prima di essere un problema della società odierna è un dramma, questo è importante sottolinearlo per evitare speculazioni, strumentalizzazioni e comprendere, affrontare questo dramma per non parlarne come se si stesse parlando di qualsiasi altra cosa di poco conto.
E’ un dramma prima di tutto umano: è emarginazione, sofferenza, solitudine, la vita che si contorce su se stessa. Non si può giudicare con facilità perché questo dramma è ovunque: nelle strade, nelle scuole, negli stadi e in ogni luogo di aggregazione quindi non possiamo sottrarci dal confronto con essa e con ciò che causa. Procedere a colpi di machete etichettando chiunque ne fa uso come uno “sporco tossico” vorrebbe dire non aver capito nulla di questo dramma. Le cause che inducono all’uso delle droghe non sono omologhe per tutti, magari ci si avvicina per curiosità, o per sentirsi parte di qualcosa in una società che non ti da più nulla, che non ha più un orizzonte e vive di apparenze. Una prova di coraggio per far vedere ai propri amici che non si è da meno; ma che differenza fa, coloro che inseguono queste false prove di coraggio non sono gli stessi figli di questa società malata, materiale, utilitaristica? La società del contratto sociale, finalizzata esclusivamente al tornaconto personale e quella della carriera ad ogni costo, la società dei belli e ricchi nelle tv, la società grigia e amorfa che sta seppellendo ogni emozione, ogni tentativo di sognare, ogni briciolo di ribellione. È la cultura di questa società mercantile che induce alla droga, è da questo tipo di modello che nasce quella solitudine che genera vuoto interiore, insoddisfazione e devianza.
Ma c’è una alternativa, c’è un modo per dilaniare questo grigio, per non far parte dell’enorme massa con il codice a barre tirato su per il naso. Per non finire nel baratro e buttare la propria vita nel cesso.
Da sempre l’antitesi a questa società è la Comunità nel senso etimologico del termine. E’ la Comunità che scardina la logica malata di questa società che induce a ciò e dove ci si riconosce in una visione del mondo che è diversa.
E’ la Comunità che compone un ambiente umano dove la solidarietà, il superamento degli individualismi, la collaborazione, la responsabilizzazione, dove le aspirazioni comuni convergono e riescono a costruire un equilibrio, una armonia, che dilania questo vuoto. E’ la Comunità in lotta che attraverso la riscoperta dei valori tradizionali del nostro mondo si ribella ai falsi miti che ci vengono imposti. E’ la Comunità dove tramite il senso di appartenenza a una causa, il donare se stessi e l’importanza di legami autentici oggi più che mai fondamentali può vincere questa battaglia.
Scegliere di vivere, farlo più forte che si può, in modo autentico, per non farsi risucchiare da questo enorme vuoto. Scegliere di essere ribelli, ma per davvero, per non conformarsi a un mondo che ci vorrebbe annichiliti e con la testa piegata su un telefono o un laccio al braccio o rincoglioniti da qualsiasi altra cosa.
Per poter affermare con le nostre azioni che lo spirito dell’uomo è ancora vivo e che gettiamo nel cesso questo futuro preconfezionatoci da qualcuno.
"Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede. Dovunque vi troviate, in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, combattete per la libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete come Italiani, così che il sangue che verserete frutti onore ed amore, non a voi solamente, ma alla vostra Patria. E Italiano sia il pensiero continuo dell’anime vostre: Italiani siano gli atti della vostra vita: Italiani i segni sotto i quali v’ordinate a lavorare per l’Umanità. Non dite: io, dite: noi. La Patria s’incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi si senta, si faccia mallevadore de' suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far sì che in lui sia rispettata ed amata la Patria."
Nel giorno del 152⁰ anniversario dalla sua morte, commemoriamo Giuseppe Mazzini, visionario del Risorgimento italiano e tra i padri del patriottismo europeo, pioniere di una visione del mondo comunitaria e organica, dove il popolo non è solo un insieme di individui, ma una Comunità di destino. Dove spirito e volontà marciano all'unisono.
Infaticabile come un innamorato, questo dissero di lui, un autentico apostolo della Nazione, la sua idea rivoluzionaria continua a camminare sulle nostre gambe. ??
"Diventi poeta d’amore
quando ti accorgi che devi lasciare
chi ti è cara più della stessa vita;
quando devi far finta che nel tuo cuore
non esiste il sentimento che ha protetto
e proteggerà in eterno la tua donna;
quando cerchi disperatamente la felicità e
ti doni a lei, non ad una qualsiasi;
quando solo pensando a lei ti batte il
cuore e ti prende l’ansia di darle un bacio.
Diventi poeta d’amore
quando suoni la nostra canzone e ci
piangi sopra;
quando in attimi d’incontro rivivi le
meravigliose ore, rubate al lavoro, alla
scuola, alla famiglia, che hai trascorso con lei;
quando al telefono l’unica parola che oramai
sai dirle è “Ti amo”;
quando vorresti piangere per la rabbia e non
puoi farlo perché ti giudicherebbero un debole
…anche la tua donna;
quando pensi quanto è bello fare l’amore con lei;
e invece hai cercato inutilmente la felicità
e vuoi morire per questo, vorresti essere capace
di non amare più.
Diventi poeta d’amore e scrivi... per gli altri sei un debole
anche per la tua donna, per gli altri sei uno stronzo…
perché ami, perché sai amare.
Ti considerano diverso, sanno di non poter amare come te."
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