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Gli scienziati sono concordi nel dire che un tale sistema si sia formato in modo analogo alle reti fluviali morfologicamente simili presenti sulla Terra. Poiché non sembrano esserci affluenti secondari che lo hanno alimentato, è probabile che l’acqua sia stata fornita da un mix di precipitazioni e dal flusso d’acqua superficiale proveniente dal terreno circostante. Anche se gli scienziati non escludono una terza possibile via, quella che in inglese si chiama groundwater sapping: un fenomeno che si verifica quando l’acqua, bloccata nel suo percorso verticale dalla superficie alla falda acquifera da uno strato impermeabile, filtra lateralmente fino a riversarsi nel canale.
Si tratta di una rete di canali fluviali fossili che si estende sulla superficie di Marte per oltre 700 chilometri.
Nirgal Vallis èuna delle più lunghe reti di letti fluviali presenti sul pianeta. Forgiato da un mix di acqua corrente e impatti di corpi rocciosi con la superficie marziana, è un sistema di canali che si trova a sud dell’equatore e la cui età – stimata esplorando le caratteristiche dei crateri circostanti, visibili nell’immagine come chiazze tondeggianti – sarebbe compresa tra i 3,4 e i 4 miliardi di anni.
La parte di Nirgal Vallis osservata dall’orbiter dell’Esa – il sistema biforcuto a forma di albero che si vede al centro dell’immagine di apertura – è quella che si trova verso l’estremità ovest dell’insieme di canali. È un tipo di rete fluviale caratterizzata da tante ramificazioni le cui terminazioni, piuttosto che finire in maniera netta e brusca, hanno una forma semicircolare che ricorda quella di un antico anfiteatro greco. Il fondo è liscio, regolare, e le ripide pareti, se tagliate in sezione trasversale, hanno una inconfondibile forma a ‘U’. Profondi 200 metri e larghi 2 chilometri, questi alvei sono stati interamente ricoperti di sabbia dall’azione del vento marziano che soffiava nella stessa direzione dei canali. L’altra estremità, quella a est, è meno ramificata e si apre nell’ampia Uzboi Vallis – probabilmente lago grande e antico che si è prosciugato molto tempo fa.
Sotto le estreme pressioni dei nuclei delle nane bianche, gli atomi sono così densamente compressi che i loro elettroni si liberano, lasciando un gas elettronico conduttivo che segue le leggi della fisica quantistica, mentre i nuclei carichi positivamente assumono forma fluida. Quando il nucleo si raffredda fino a circa 10 milioni di gradi, è stata rilasciata abbastanza energia da innescare l’inizio della solidificazione del fluido, che porta infine alla formazione di un nucleo cristallino con un mantello di carbonio.
Cosa sono le nane bianche
Le nane bianche sono lo stadio finale dell’evoluzione di stelle di piccola massa che, dopo essere diventate per un certo tempo giganti rosse, perdono i loro strati esterni e iniziano a contrarsi e raffreddarsi rilasciando il loro calore residuo.
Sono anche fra gli oggetti stellari più antichi dell’universo, e hanno un ciclo di vita estremamente prevedibile, tanto da essere usate dagli astronomi come “orologi” per stimare l’età di gruppi di stelle vicine.
Alcune sembrano aver rallentato il loro invecchiamento di ben 2 miliardi di anni, pari al 15 per cento circa dell’età della nostra galassia: un risultato che comporta una revisione del modello di evoluzione di queste stelle.
Un gruppo di astronomi dell’Università di Warwick ha ottenuto la prima prova diretta dell’esistenza di stelle “di cristallo”, nane bianche che si solidificano in una grande massa cristallina. La scoperta è illustrata su “Nature”.
L’esistenza di stelle di questo tipo era stata prevista cinquant’anni fa dall’astrofisico dell’Università di Rochester Hugh M. Van Horn, ma finora non era stata trovata alcuna prova diretta che le nane bianche fossero votate a questo destino: lo stesso a cui andrà incontro il nostro Sole nell’arco di una decina di miliardi di anni.
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