Advaita

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1 month, 3 weeks ago

«Per colui, per il quale è ignoto, per quegli è noto. Colui
per il quale è noto, quegli non [lo] conosce. È non-cono-
sciuto da parte di coloro i quali [afermano che lo] cono-
scono, è conosciuto da parte di coloro i quali [afermano
che] non [lo] conoscono. [Qando è] realizzato in ogni
stato di coscienza, [allora il Brahman] è conosciuto; infat-
ti [tramite ciò] si consegue l’immortalità»
Kena Upani≤ad: 2.3-4

2 months ago

Tutta la manifestazione fenomenica viene intesa come relativa ed apparentemente opposta all'Assoluto. Ma nulla può essere opposto o esterno all'Assoluto che tutto comprende e da cui tutto proviene,come un sogno non è esterno od opposto al sognatore ,eppure,come il sogno,la manifestazione è reale solo relativamente al suo piano di esistenza. Nell'Assoluto(Atman)risiede in potenza ogni cosa manifestabile e l'intero divenire è "osservato" dalla Coscienza(Cit). Nel piano fenomenico ogni cosa ha una sua struttura data dalla combinazione di Spirito e Materia( Purusha e Prakriti/Shiva e Shakti). L'essere umano ha una struttura complessa essendo per altro  un microcosmo specchio del macrocosmo e dotato di un "io"(Ahamkara),una componente derivata dalla identificazione che la Coscienza ha con il soggetto(Jiva).
L'uomo si compone di tre corpi(anima,mente,corpo) costituiti di cinque "guaine" o involucri chiamati,Pancha Maya Kosha, in cui:
Pancha significa cinque
Maya significa composto da o pieno di
Kosha significa corpo, involucro, dimensione
Questi cinque corpi sono:
Annamaya kosha, ovvero, il corpo materiale
Pranamaya kosha, ovvero, il corpo dell’energia vitale
Manomaya kosha, ovvero, il corpo mentale
Vijnanamaya kosha, ovvero, il corpo di saggezza
Anandamaya kosha, ovvero, il corpo di beatitudine.

2 months, 1 week ago

"È nella natura dell'Assoluto,che rappresenta la possibilità universale,non escludere nulla e implicare, pertanto,la possibilità dell'esistenza relativa. È nella natura del tutto contenere la parte, nonché la capacità di assumere la poliedricità e di rispecchiarsi nelle parti che lo costituiscono. L'Uno ed il molteplice sono impliciti nell'Assoluto: ogni aspetto naturale e umano esiste virtualmente nell'Assoluto e si determina a partire da esso."
Da
Il Sé transpersonale
Laura Boggio Gilot

4 months, 1 week ago

maturati, saranno invece inceneriti dal fuoco della conoscenza. 
Comunque, nessuno di questi tre generi di karma è capace di 
toccare l’asceta che ha realizzato Brahman e vive in identità 
con Esso.
454. Per il muni che vive nel suo proprio Sé in quanto 
Brahman non-duale e libero dalle sovrapposizioni (upadhi), la 
questione di sapere se il prarabdha esista o no è priva di senso. 
Colui che si sveglia conserva forse il minimo rapporto con gli 
oggetti del sogno?
455. Chi si è svegliato dal sonno non ha alcuna idea di “io” e 
“mio” in merito al corpo-sogno, né in riguardo agli oggetti che 
servirono ad esso. Egli, ormai desto, ha ripreso coscienza della 
sua identità.
456. Non ha quindi alcun desiderio di considerare reali quegli 
oggetti illusori, né si sforza di trattenere quel mondo di sogno. 
Se dovesse bramare quegli oggetti di sogno, si potrebbe dire 
che egli è ancora dormiente.

Da
Vivekakudamani

4 months, 1 week ago
  1. È stato obiettato che, nonostante la pratica assidua della 
    meditazione, si ricevono percezioni del mondo esterno. La 
    sruti, comunque, sostiene che ciò è conseguenza del prarabdha karma. Questo può essere inferito dagli evidenti risultati.
  2. Il prarabdha persiste anche nella pur minima percezione 
    di attrazione o repulsione; l’effetto, comunque, proviene da 
    un’azione precedente. D’altra parte non si è mai visto un 
    effetto senza la causa.
  3. Realizzando “Io sono Brahman”, l’asceta distrugge di 
    colpo il samcitakarma accumulato durante innumerevoli kalpa, 
    come le azioni compiute nel sogno scompaiono al risveglio.
  4. Possono i meriti e i demeriti accumulati nel sogno 
    condurre al paradiso o all’inferno quando il sogno è svanito?
  5. Essendo libero e indifferente come l’etere, l’asceta non 
    può più essere toccato dal karma che ancora deve maturarsi.
  6. Benché l’aria sia in contatto con una brocca piena di 
    liquido, non per questo essa prende le caratteristiche del 
    liquido. Così l’atman, per quanto in rapporto con le 
    sovrapposizioni, non viene macchiato dalle loro proprietà.
  7. Ma il karma che ha prodotto questo corpo prima del 
    sorgere della conoscenza, non può essere distrutto dalla stessa 
    conoscenza, per cui dovrà dare i suoi frutti. Così una freccia 
    partita dall’arco dovrà raggiungere il suo bersaglio.
  8. La freccia, da esempio, che avrebbe dovuto colpire una 
    tigre, si dirige verso un mucca; ma il riconoscimento 
    dell’errore mentre la freccia viaggia non impedisce ormai che 
    gli effetti si compiano ugualmente.
  9. Il prababdhakarma è troppo potente perché l’essere di 
    realizzazione possa fermarlo; esso si esaurirà con l’estinzione 
    dei suoi frutti. Gli altri due generi di karma, quello proveniente 
    da azioni anteriori e quello i cui effetti non sono ancora
4 months, 2 weeks ago
  1. Come una foglia secca va dove il vento la trasporta, così il
    corpo dell’asceta che ha realizzato Brahman può seccarsi e
    cadere in qualsiasi luogo, perché il fuoco della conoscenza l’ha
    già ridotto in cenere.

Vivekacudamani

7 months, 1 week ago

4.10. Tutti i dharma (i jıva) sono per loro natura perfettamente
liberi da vecchiaia e morte. Pensando la vecchiaia e la
morte [nell’åtman, i dharma] decadono [dalla loro natura im-
mortale] a motivo della identifcazione con tali idee.

Mandukya Upanishad

7 months, 2 weeks ago

persone tendono ad identificarsi completamente con il corpo fisico e la
mente, ne assumono i limiti e diventano avidi e concupiscenti.
Nella tradizione Advaita, lo scopo dell’esistenza umana è la li-
berazione (moksha) dalla sofferenza, liberazione che è il frutto della
giusta comprensione della natura dell’io come non differente dal
Brahman. La conoscenza (jnana) rappresenta il mezzo principale
per il raggiungimento della liberazione, dal momento che si tratta
essenzialmente di un problema di ignoranza. La conoscenza dell’io
non è un processo in divenire né consiste nel dar vita ad un nuovo
io. L’Advaita è una tradizione/insegnamento che mira all’elimina-
zione delle concezioni errate riguardanti se stessi e di tutto ciò che
mette in pericolo una corretta conoscenza. L’atman è quello che
una persona è e sempre sarà. Non occorre che venga creato, e né il
tempo né lo spazio ci separano da esso. Il problema consiste nel
considerarlo erroneamente ciò che non è, problema che viene eli-
minato attraverso la conoscenza rivelata dei Veda. Tale liberazione
è raggiungibile in questa vita; colui che conosce la verità dell’io vie-
ne definito un essere vivente libero (jivan mukta). Dal momento
che l’io è identico in tutti gli esseri, la liberazione dà come risultato
un senso di unità e identità con tutti, ma libera anche dall’avidità,
poiché l’io, essendo non differente dal Brahman, possiede una pie-
nezza che svuota di significato l’avidità. Questa libertà dall’avidità,
insieme alla comprensione dell’unità di tutti gli esseri nel Brahman,
fornisce una potente motivazione per una vita ispirata alla compas-
sione e all’altruismo. Shankara sostiene fortemente la persona libe-
rata che si dedica al benessere degli altri.

Tratto da
SHANKARA E L’INDUISMO «ADVAITA»
Intervista ad Anantanand Rambachan*

7 months, 2 weeks ago

mi trovassi a possedere il mondo intero con tutte le sue ricchezze – do-
manda Maitreyi – questo mi renderebbe immortale?». Yajnavalkya
le risponde con franchezza che questo le permetterebbe di godersi
la vita nel lusso, ma non può conquistare l’immortalità attraverso la
ricchezza. 
In questi incontri, Narada e Maitreyi non si collocano in anta-
gonismo rispetto alla vita nel mondo. Contrariamente alle impres-
sioni che circolano a livello popolare, la tradizione induista Advaita
non ha un atteggiamento di negazione della vita né si concentra
sull’aldilà. La ricchezza (artha) e il piacere (kama) fanno parte dei
quattro scopi legittimi dell’esistenza umana, che devono essere per-
seguiti nel contesto del terzo scopo, che è il dharma. Quest’ultimo
comprende tutto ciò che sostiene l’armonia e vi contribuisce nella
sfera pubblica e in quella privata. Questo richiede che ogni essere
umano sia attento e sensibile al benessere degli altri allo stesso
modo in cui cerca di soddisfare le proprie legittime esigenze.
Arriva un momento, però, così come è avvenuto nella vita di
Narada e di Maitreyi, in cui si scopre che l’abbondanza della ric-
chezza e del piacere e la realizzazione degli obblighi sociali non eli-
minano il proprio senso di vuoto e di tristezza. Ci si comincia a
chiedere se c’è altro nella vita oltre ai benefici transitori della ric-
chezza e del piacere. Questa scoperta dei limiti della realtà finita,
insieme alla ricerca di qualcosa di più, rappresenta davvero il risve-
glio del bisogno del moksha (la liberazione), il quarto e il più alto
scopo dell’esistenza umana.
Nella tradizione Advaita, il problema umano fondamentale è
ritenuto l’ignoranza (avidya) della natura dell’io (atman). Questa
ignoranza costituisce la causa profonda della sofferenza. Secondo
quelle che la tradizione Advaita considera le grandi affermazioni
(mahavakyas) delle Upanishad, Shankara intende l’io (atman), al
suo livello più fondamentale, come non differente dal Brahman.
Ecco le mahavakyas: «Che tu sia» (Chandogya Upanishad), «L’at-
man è Brama» (Brhadaranyaka Upanishad), «La coscienza è Brah-
man» (Aitareya Upanishad) e «Io sono Brahman» (Brhadaranyaka
Upanishad). Ignorando la propria identità con il Brahman, le

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