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Vicky, la principessa che “non sapeva niente”
Testo di Anna Maria Messuti
La società parigina ammirava la sua bellezza iconica, il fascino magnetico e l'eleganza impeccabile, mentre la Gestapo, nella Francia occupata, la riteneva una criminale "particolarmente pericolosa".
Vera Makarova, figlia del vice governatore di Baku, si era trasferita a Parigi all'età di 9 anni. Dopo aver ricevuto un'istruzione superiore, aveva iniziato a lavorare come modella ed aveva sposato il principe Nikolaj Obolenskij. La loro favola non si concluse però con un “vissero felici e contenti” e, nonostante conducessero una vita allegra e spensierata in uno dei più prestigiosi quartieri di Parigi, allo scoppio della guerra, entrarono a far parte della Resistenza.
Vera Obolenskaja si arruolò con il grado di tenente nell'OCM, l'organizzazione civile e militare, e ne divenne la segretaria generale. Con lo pseudonimo di Vicky, raccolse e trasmise a Londra una quantità impressionante di informazioni, che riguardavano sia i movimenti delle truppe tedesche, che il contenuto di documenti di vitale importanza. La memoria di Vicky era fenomenale: non scriveva nulla ma ricordava tutti i nomi, gli indirizzi, e i codici segreti.
Catturata dalla Gestapo, Vera Vicky venne interrogata per 7 lunghi mesi, ma non rivelò nessun nome o informazione. Dopo lo sbarco in Normandia venne trasferita a Berlino, dove si rifiutò di scrivere una domanda di grazia e venne condannata alla ghigliottina.
Alla fine della guerra, il suo Nikolaj divenne sacerdote e poi rettore della stessa cattedrale in cui si erano sposati.
Vera ricevette postuma i massimi riconoscimenti militari francesi, in una cerimonia presieduta dal generale De Gaulle e, da parte sovietica, l'Ordine della Guerra Patriottica.
Come ricordò una sua cara amica, Vera “amava troppo la vita per non darle un profondo significato, anche se questo significò sacrificare se stessa”.
Alessio I di Russia e Federico II, i signori del cielo
Testo di Anna Maria Messuti
Nelle loro corti, distanti nel tempo e nello spazio, lo zar Aleksej Mikhajlovič, padre di Pietro il Grande, e l'imperatore Federico II di Svevia, condividevano una particolare affinità: la passione per la falconeria.
L'amore per l'arte venatoria con i falconi dello zar era tale che egli vantava un' imponente collezione di rapaci, mentre le sontuose battute di caccia riunivano tutta la nobiltà russa.
Una famosa leggenda narra dell'avventura del falconiere di Ivan il Terribile, Trifon Patrikeev. Quando il falcone prediletto dallo zar scomparve misteriosamente, Trifon ebbe solo tre giorni per ritrovarlo, pena la decapitazione. Dopo estenuanti ricerche, Trifon si addormentò e in sogno gli apparve il suo santo protettore, San Trifone, che teneva sulla spalla il girifalco smarrito. Al risveglio, Trifon trovò l'uccello accanto a sé. Lo zar, per ringraziare il santo, fece costruire una chiesa, mentre San Trifone divenne il patrono dei cacciatori.
In Occidente l'Imperatore Federico II di Svevia, lo "stupor mundi", patrocinatore delle arti e delle scienze, nutriva un vivo interesse per la falconeria. Celebre era stato, nel XIII secolo, il suo trattato "De arte venandi cum avibus" (L'arte di cacciare con gli uccelli).
Anche lo zar raccolse le sue conoscenze sull'allevamento e l'addestramento nel testo "Книга о ястребах и соколах" ("Libro sui falchi e sugli astori").
La falconeria diventa così un filo conduttore tra Oriente e Occidente, assumendo un valore simbolico di dominio sulla natura e sugli uomini, attraverso la saggezza e non la forza. In questo antico rito di caccia e danza, uomo e rapace diventano una cosa sola, che trascende il tempo, mentre il volo del falco rende l'anima più leggera, e il cuore si riempie di meraviglia e stupore.
Img: D. Lukhanov, "Il falconiere dello zar", 2015
Cultura Italia-Russia
Zoe Sofia Paleologa, l'ultima erede di Bisanzio a Mosca
Testo di Anna Maria Messuti
Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico, descrisse così Sofia Paleologa: "Piccola di statura, la fiamma orientale brillava nei suoi occhi, e il candore della pelle parlava della nobiltà della sua famiglia". Erede dell’ultimo imperatore d’Oriente, Costantino XI, la piccola Zoe, rimasta orfana, fu educata alla corte papale. Quando il gran principe di Mosca Ivan III rimase vedovo, il papa Paolo II vide nel matrimonio con Sofia la possibilità di riunificare la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente.
L'unione era patrocinata anche dagli stati italiani che consideravano il principe russo un baluardo contro l'avanzata dell'impero ottomano che minava i loro commerci. Nelle città italiane attraversate dal corteo della sposa, durante il lungo viaggio verso la Russia, si celebrarono grandi festeggiamenti. La sua dote comprendeva, oltre a beni materiali, manoscritti greci e latini che costituiranno la base della ricca biblioteca di Ivan il Terribile.
Le speranze del Papa furono però presto deluse: Sofia riabbracció la fede ortodossa e partecipò attivamente alla gestione del potere, spingendo Ivan III a liberarsi dal giogo mongolo. Con Sofia l’eredità romana dei Cesari, dopo la caduta di Costantinopoli, la seconda Roma, migrò a Mosca. La legittimità della "nuova città di Costantino" si basò non sul diritto di conquista territoriale, ma su quello del sangue. Sul portale dorato del Palazzo delle Faccette al Cremlino, costruito dagli architetti italiani Marco Ruffo e Pietro Solari, apparve nel 1490 l'aquila bicipite, simbolo dell’impero bizantino che guarda nelle due direzioni, sia a Oriente che ad Occidente.
Fino alla fine dei suoi giorni Sofia fu però orgogliosamente bizantina. Nel monastero della Trinità di San Sergio è custodito un velo di seta su cui aveva ricamato il suo nome: Sofia Paleologa, "Principessa di Costantinopoli".
Olga Tarovik - Storia della Russia
La Pietroburgo di Blok
Testo di Anna Maria Messuti
Accanto alla Pietroburgo maestosa, altera e dalla perfetta geometria, esiste l'idea di una città nata dal nulla, teatro di incantesimi, in cui tutto, anche le cose più strane, possono accadere.
Pietroburgo non è soltanto uno sfondo, ma l'essenza stessa dei personaggi, e questo senso di fusione dell'anima umana con l'anima della città attraversa anche la poesia di Aleksandr Blok, sommo poeta simbolista.
Egli visse e lavorò tutta la vita a Pietroburgo: "È la mia città color grigio-ferro. Dov'è vento e pioggia, e acque increspate, e nebbia... L'intera mia città inconoscibile. Incompresa lei stessa".
Con il calare delle tenebre, quando per le strade assonnate si dipanavano le lunghe file di lampioni, la città lo chiamava a sé ed egli si abbandonava alla sua inquietudine: "Nelle bettole, nei vicoli, nelle anse dei fiumi, nella realtà di un sogno elettrico, senza posa, belle donne cercavo, della fama perennemente innamorate".
Ma questa città, in cui i deboli sono destinati a soccombere, consente, a chi riesce a superare le prove che essa ha in serbo, una forza in grado di dilatare i confini dell'animo umano. Ancora una volta, "trionfalmente e con amore nella nebbia fitta risuona il corno", le navi partono e tutte le ombre della notte si dissolvono all'istante.
Cultura Italia-Russia
Il Mandylion, il volto dei volti - Спас Нерукотворный
Testo di Anna Maria Messuti
Nella Chiesa ortodossa l’icona manifesta al mondo l’invisibile, attraverso l’immagine del volto di Cristo che, nel Suo splendore e nelle Sua bellezza, viene definita “acheropita” cioè “non fatta da mano umana” con riferimento alla prima impronta di Gesù, il sacro Mandylion.
Si narra che alla vigilia della passione e morte di Cristo, il re di Edessa, Abgar, era malato di lebbra. Venuto a sapere dei miracoli che Gesù stava compiendo, inviò da lui il pittore Anania, per consegnarli una lettera in cui gli chiedeva di recarsi ad Edessa. Anania trovò Cristo circondato da una folta folla e cercò, invano, di ritrarre il Salvatore. Gesù decise così di fargli un dono. Dopo essersi bagnato il volto, impresse i suoi lineamenti su un telo (Mandylion) di lino che fece consegnare al re. Il telo era ripiegato in otto parti e su quella visibile era impresso il volto di Gesù. Dopo aver visto il ritratto il re guarì, e il Mandylion venne esposto alla venerazione dei fedeli in una nicchia della porta principale della città.
In seguito fu portato a Costantinopoli, dove se ne persero le tracce quando la città venne saccheggiata dai crociati nel 1204. Secondo una leggenda, la nave che lo trasportava affondó nel mar di Marmara, mentre secondo altre l'icona fu trasferita a Genova, dove oggi è custodita nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.
La maggior parte delle icone russe sono collegate al Mandylion di Edessa, dove il centro della raffigurazione è sempre il volto di Cristo che unisce la natura divina e quella umana. Nella teologia orientale, essa consente al fedele "un rapporto privilegiato con il divino".
L'icona, luogo di confine tra visibile e invisibile, è la "porta regale" in cui l'unione con l'Assoluto diventa esperienza dello sguardo che si libera dalle dimensioni spazio-temporali per vivere nel presente il messaggio divino.
Per Cultura Italia-Russia
Jeshua Ha-Nozri, il Gesù di Bulgakov
Testo di Anna Maria Messuti per Cultura Italia-Russia
Nel Maestro e Margherita c'è un Bulgakov mistico. La sua è una riscrittura fantastica dei Vangeli della passione e, tra le varie fonti a cui attinge, è presente il vangelo apocrifo di Nicodemo e gli Atti di Pilato.
La Mosca degli anni Trenta e la Yershalaim del passato si ricongiungono al di là del tempo e dello spazio attraverso la figura di Jeshua Ha-Nozri, archetipo di verità assoluta e di bene universale. A Mosca il Maestro, censurato dal potere per aver scritto la sua versione sulla crocifissione di Cristo, ha bruciato la sua opera ed è impazzito, mentre Pilato, nella sua solitaria eternità con il fedele cane Banga, è tormentato dall'insonnia "da circa duemila anni" ma quando riesce a dormire sogna "una strada lunare su cui camminare e discorrere con l’arrestato Jeshua Ha-Nozri, perché afferma di non avergli detto tutto allora".
Nel dialogo tra Pilato e Jeshua assistiamo alla contrapposizione tra l'utopia del potere, in cui l'anima sprofonda nella materia, e il volto autentico dell'uomo. "Ho detto fra l’altro”, raccontava l’accusato, “che ogni potere è una violenza contro gli uomini e che verrà il tempo in cui non ci saranno più né il potere di Cesare né altri poteri. L’uomo si trasferirà nel regno della verità e della giustizia, dove non sarà necessario nessun potere” […] “E verrà il regno della verità?”. “Verrà, egemone”, rispose convinto Jeshua
Per venti secoli il semplice e unico comandamento di Yeshua Ha-Nozri non ha ancora trovato risposta nel cuore della maggior parte delle persone, ma per Bulgakov la salvezza è sempre possibile, perché tutto ciò che gli uomini hanno vissuto e sofferto non è scomparso, ma può essere ritrovato nel nostro oggi grazie al potere della parola.
Img: Yekaterina Gonyukhova
La terra non avrà più membra intatte
e domani l'anima sarà calpestata
da piedi stranieri
e tutto ciò perché un tizio qualsiasi
possa allungare le mani su qualche Mesopotamia...
Tu che combatti per loro e muori,
quando ti leverai in piedi
in tutta la tua statura
e lancerai sulla loro faccia
la tua ira profonda
in un grido: «Perché
si combatte questa guerra?»
Vladimir Majakovskij
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