Notizie e analisi sull'attualità e la geopolitica.
Last updated 4 months, 3 weeks ago
Ultimora.net - Le ultime notizie passano prima da qui ?
? twitter.com/ultimoranet
? @ultimora_network
? @ultimoragroup
? [email protected]
? @igilu ??? @lopao
ℹ️ In qualità di Affiliato Amazon, riceviamo un guadagno dagli acquisti idonei
Last updated 1 year, 8 months ago
CAUSA CENSURA FACEBOOK HO APERTO QUESTO CANALE
Non possono celare la verità🔥
Spam = Ban immediato
Propaganda Mainstream = Ban immediato
Propaganda Partiti = Ban immediato
Propaganda V_V = Ban immediato
Link Vendite = Ban immediato
Offese = Ban immediato
Last updated 1 year, 3 months ago
Nella foto Ronald Madison, disabile ucciso dalla polizia di New Orleans nei giorni dell'uragano Katrina perché testimone di una strage a danni dei civili sul ponte Madison.
La mattina del 4 settembre 2005 New Orleans è ancora in preda al caos dopo l’uragano Katrina che, sei giorni prima, ha distrutto la città. In questo contesto si compiono saccheggi e violenze, mentre duecento agenti della polizia disertano e altri vanno in giro a fare i giustizieri.
Quel 4 settembre diversi poliziotti, con armi non convenzionali e alcune non autorizzate, senza divisa e segnali di riconoscimento arrivano sul ponte Danziger con un mezzo a noleggio.
Gli agenti senza ragione e senza avviso aprono il fuoco su una famiglia di afroamericani, i Bartholomew. Uccidono James Brissette, un amico di famiglia, e Lesha Bartholomew, figlia adolscente di Susan che viene ferita (perderà il braccio) e di Leonard colpito alla schiena.
Due testimoni, Ronald e Lance Madison (il primo è disabile) vengono visti dagli agenti, inseguiti e sono oggetto di colpi di fucile. Ronald viene raggiunto dai proiettili e in seguito morirà per le ferite riportate. Uno dei poliziotti gli sale sulla schiena mentre era a terra sanguinante.
Gli agenti per giustificare la carneficina dissero che avevano semplicemente risposto a colpi di arma da fuoco. I colleghi deputati a investigare sull’accaduto concordano con loro la versione da rendere pubblica, falsificano le prove e portano un’arma sul teatro della mattanza.
Ci vollero molti anni e l’intervento delle istituzioni federali per arrivare a dei processi e delle condanne per gli agenti, che vennero poi ridotte nel 2016.
Nel 2020 l’ultimo dei responsabili della strage uscì di prigione.
"Mia cara Lucie,
Quando questa lettera ti sarà pervenuta, io sarò morto fucilato.
Ecco perché:
Il 27 novembre, verso le 5 di sera, dopo due ore di violento bombardamento, in una trincea della prima linea, mentre stavamo finendo la nostra zuppa, dei tedeschi sono penetrati nella trincea e mi hanno fatto prigioniero con due miei compagni. Io sono riuscito ad approfittare di un momento di rissa e di disordine per scappare dalle mani dei tedeschi.
Ho poi seguito i miei compagni e ho raggiunto le nostre linee. A causa di ciò, sono stato accusato di abbandono del posto in presenza di nemici.
Siamo passati in ventiquattro davanti al Consiglio di Guerra. Sei sono stati condannati a morte, tra questi sei ci sono io. Non sono più colpevole degli altri, ma c’è bisogno di un esempio.
Il mio portafogli ti arriverà con quello che c’è dentro.
Ti devo fare i miei ultimi saluti in fretta, con le lacrime agli occhi, l’anima in pena. Io ti domando umilmente in ginocchio perdono per tutta la tristezza che ti causerò e per l’imbarazzo nel quale ti metterò….
Mia piccola Lucia, ancora una volta, scusa.
Mi confesserò all’istante e spero di rivederti in un mondo migliore.
Muoio innocente del crimine di abbandono del posto che mi è imputato. Se invece di scappare fossi rimasto prigioniero dei tedeschi, avrei avuto la vita salva. È il destino.
Il mio ultimo pensiero è a te, fino alla fine"
Queste le parole di una lettera scritta da un soldato francese, Henry Foch, pochi minuti prima dell'esecuzione. La sorte della vita di un uomo venne decisa da una lotteria, per 'dare l'esempio'. Perché, quando ti trovi di fronte a un attacco nemico, è cosa buona e giusta farsi ammazzare per quello Stato che ti ha strappato ai campi e ti ha inviato a combattere una guerra 'giusta'. Henry Foch ed altri 23 uomini ritennero, invece, fosse più giusto ripiegare di fronte ad un attacco senza possibilità di vittoria, seguendo gli ordini di un tenente. E così fecero. Ma, in seguito, il tenente negò di aver dato un simile ordine. E così morirono con in corpo non i proiettili tedeschi, ma quelli francesi, gli stessi di cui erano carichi i loro fucili. I sei soldati giustiziati, denominati i martiri di Vingré, verranno riabilitati solo nel 1921, con la confessione del tenente che diede l'ordine di ritirarsi.
Sembrava innocua quella ragazza, con i suoi capelli rossi, il viso gentile e i modi affabili. Le veniva facile attirare su di sé l’attenzione, mentre rideva e scherzava con altre donne e uomini, olandesi come lei. A dire il vero, non proprio come lei: erano infatti per la maggior parte collaboratori del governo nazista instauratosi in seguito all’invasione dei Paesi Bassi nella primavera del 1940.
Al contrario dietro quella ragazza affabile si celava una dei membri più efficienti e letali della resistenza olandese, il cui compito era quello di eliminare i collaborazionisti alleati dei nazisti. Non aveva neanche 25 anni Hannie, eppure aveva dei principi saldissimi che la portarono, sin da giovanissima, a detestare il fascismo in tutte le sue forme: discutere di politica e di cosa fosse giusto e sbagliato era la prassi in casa Schaft e Hannie, così come le sue sorelle, si fece subito un’idea chiara e precisa di dove stava il male nel mondo. Anche nei primi anni e mesi dell’occupazione nazista, quando la guerra sembrava favorevole alla Germania, Hannie non rinunciò a lottare: finì spesso al centro dell’attenzione delle autorità per il dissenso che manifestava nei confronti delle politiche adottate contro gli ebrei olandesi, oggetto sin da subito di discriminazioni e in seguito, come è noto, della deportazione verso i campi di concentramento e sterminio.
Il nazismo era il male, e Hannie lo sapeva. Per questo fece di tutto per distruggerlo, assassinando diversi esponenti del governo collaborazionista olandese. In pochi conoscevano la sua identità: i suoi contatti le consegnavano un bigliettino con un nome sopra, consapevoli che al soggetto indicato restava poco tempo da vivere.
Purtroppo non tutti ebbero la tempra di Hannie. Il suo compagno Jan, infatti, catturato e torturato verso la fine del 1944, fece il suo nome. Venne trovata e arrestata nei pressi della sua città, Harleem, mentre trasportava documenti della Resistenza. Era il marzo del 1945. La sconfitta per la Germania nazista era ormai certa e vi era stato un accordo tra la Resistenza e i collaborazionisti per cessare le esecuzioni. Ma l’odio per una donna che aveva beffato e ucciso decine tra nazisti e collaborazionisti prevalse.
Hannie venne uccisa il 17 aprile 1945. La guerra sarebbe finita neanche tre settimane dopo. Il soldato che le sparò manco in parte il bersaglio, lasciandola a terra ferita ma viva. Ebbe un ultimo sussulto quando lo guardò negli occhi e gli disse “Sparo meglio io!”. Il suo corpo venne scoperto solo dopo la fine del conflitto, interrato in una fosse comune insieme a decine di altri cadaveri nei pressi di Harleem.
Cronache Ribelli
Il 27 agosto 1950 nell'albergo Roma, a Torino, moriva suicida Cesare Pavese. Prima di ingerire i barbiturici che lo uccisero, sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino accanto a lui, aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.»
Vogliamo ricordarlo con le parole di Fernanda Pivano, traduttrice, critica, scrittrice, giornalista e soprattutto sua allieva.
"Quella sera aveva inghiottito la sua polvere assassina; nessuno di noi gliela aveva tolta dalle mani. Ci ha perdonato, ci ha chiesto perdono. Di che cosa, Pavese? Che cosa le avevo fatto, che cosa mi aveva fatto, che cosa ci aveva fatto dopo aver aiutato decine di scrittori a farsi conoscere, con quel suo viso tragico che aveva dimenticato il sorriso, quella sua vita segreta che non aveva svelato a nessuno, quella sua infinita conoscenza del mondo che non le è bastata per sopportarlo."
Poeta, traduttore, scrittore, intellettuale senza tempo, non possiamo che sperare che la sua memoria, storica e poetica, cammini sempre al fianco delle nuove generazioni.
Che possa continuare ad essere maestro di tutti noi.
Claire Lacombe fu una delle figure più importanti della Rivoluzione Francese.
Era nata nel 1765 a Pamiers. Figlia di un commerciante, fin da
giovane intraprese la carriera di attrice con un certo successo.
Ma alla strada del teatro Claire, ad un certo punto, decise di
sostituire quella della lotta politica.
Nel 1792 entrò nel Club dei Cordiglieri e partecipò attivamente all’assalto del palazzo delle Tuileries che segnò la fine della monarchia costituzionale e la nascita della Repubblica. Divenne così una delle donne rivoluzionarie più note e più radicali. Tanto radicale da lasciare il gruppo di Marat, i Cordiglieri appunto, per aderire a quello degli Arrabbiati, capeggiati dal leggendario Roux e da Leclerc, che sarà suo compagno di lotta e di vita. Da membro degli Enragès formerà La Società delle Repubblicane Rivoluzionarie, uno dei club esclusivamente femminili della rivoluzione, attivo dal febbraio al settembre 1793.
Contrapposto al club di Olympe de Gauges che aveva redatto la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, il club della Lacombe, oltre a sostenere la parità tra uomo e donna, rivendicava riforme sociali e politiche radicali. Con il passare dei mesi la Lacombe chiese che le donne potessero portare armi, partecipare alla guerra e soprattutto criticò diverse scelte di Robespierre, che in quella fase controllava gli organismi rivoluzionari. Era in atto il cosiddetto Terrore, e i giacobini, insieme all’opposizione moderata, decisero di fare fuori anche quella radicale capeggiata dagli Arrabbiati. Claire Lacombe finì in carcere con false accuse e il club che aveva fondato fu sciolto.
Sopravvissuta al terrore insieme al compagno Leclerc, venne liberata dal Direttorio. Poco si sa di come trascorse il resto della sua vita: secondo alcuni tornò a recitare.
Di fronte il mare, di lato il Gargano. Dietro, i campi. Perché, come in tutto il resto del sud e d'Italia, qui si era tutti contadini, un tempo. Nel foggiano molti lo sono ancora, sfruttati e schiavizzati per un pezzo di pane. Manfredonia è il terzo comune più popoloso della provincia di Foggia: a solo un chilometro dalla città, nella frazione marina del comune di Monte Sant'Angelo, venne costruito dall'ENI, nei primi anni '70, un grosso impianto petrolchimico. Certo, non un'installazione ideale per un'area così delicata, crocevia tra campi, mare ed il promontorio, oltretutto in una zona densamente popolata. Ma il petrolchimico avrebbe portato con sé molti, molti posti di lavoro. E i posti di lavoro portano voti, che per qualcuno valgono molto più della salute. Il petrolchimico, insomma, si fece, nonostante alcuni pareri contrari dei comuni circostanti, consapevoli dei danni che avrebbe potuto causare un impianto simile in quella zona. I fatti certo non smentirono le loro teorie: poco dopo l'apertura, nel 1972, un'alluvione rischia di far fuoriuscire sostanze chimiche dall'impianto. Ma, apparentemente, non succede nulla.
Si arriva quindi al 26 settembre del 1976. La tranquillità di una domenica come tante altre viene interrotta da un boato, come il rombo di un aereo che sorvola la città a bassa quota. Non è un aereo. È l'esplosione della colonna di lavaggio dell’impianto di sintesi dell’ammoniaca del petrolchimico: tonnellate di arsenico e di altre sostanze inquinanti si riversano nell'atmosfera e invadono la città, il golfo, i campi. Centinaia di animali nelle campagne circostanti vengono abbattuti il giorno stesso. Eppure, per l'ENI, non è successo niente. Tutto normale. E i lavoratori dell'impianto andranno regolarmente a lavorare nei giorni successivi. Sarà tutto normale anche durante gli incidenti successivi che proseguiranno sino al 1990.
Di poco normale vi era, però, l'altissima incidenza di tumori che colpì gli abitanti di Manfredonia e delle altre zone limitrofe. I problemi di salute gravissimi contratti da individui fino a poco prima sanissimi. Malattie polmonari gravi che colpiscono all'improvisso persone non fumatrici. Decine, centinaia di persone, soprattutto impiegati del petrolchimico, moriranno negli anni successivi. Ma alcuni di essi lotteranno con tutte le loro forze per avere giustizia, facendo causa all'azienda. Partirà una serie di processi che terminerà solo nel 2014: nessun colpevole. Tutto normale, tutto regolare. Ai parenti di chi negli anni si era ammalato ed era morto venne offerto uno scarno risarcimento che molti, indignati, rifiutarono. Non avrebbero accettato nulla da chi aveva già deciso di barattare il lavoro con la salute.
Era iniziato in Ghana. Ma sarebbe finito lì. L'impero britannico aveva già perso l'India e non avrebbe lasciato anche l'Africa così facilmente, e lo dimostrò nella repressione della rivolta dei Mau Mau, nel Kenya degli anni '50, durante la quale si spese in tutta la sua brutalità.
Quando John Cowan, ufficiale dell’esercito di sua maestà responsabile delle prigioni coloniali britanniche, soffiò nel suo fischietto, di fronte a lui c’erano 85 kenyoti che avevano preso parte alla rivolta; al suo fianco, invece, c’era una squadra di soldati armati di mazze e bastoni, che all’ordine del loro superiore si accanirono contro i prigionieri. Era il 3 marzo del 1959, e nel campo di prigionia di Hola i colonizzatori britannici continuavano nella loro opera di tortura e repressione delle lotte per l’autodeterminazione del popolo kenyota.
Nel campo di Hola trovava la sua massima espressione il potere coloniale ed oppressivo inglese, con i ribelli più determinati rinchiusi in un ulteriore sotto-campo, sottoposti a torture e lavoro forzato. I ribelli catturati e rinchiusi, però, erano stati spogliati non solo della libertà, ma anche della paura di resistere: quegli 85 si rifiutarono di essere trascinati al lavoro forzato, e i soldati, forti della sola ragione di violenti colonizzatori, scatenarono la loro reazione.
Di quegli 85, 11 rimasero sul terreno del campo di Hola; tutti gli altri non avrebbero mai dimenticato, e a molti rimasero anche delle gravi menomazioni ad impedirglielo.
Una pagina brutale era stata aggiunta alla lunga storia di sangue che fu la vicenda coloniale inglese in Africa e in Kenya, una pagina che, da manuale fu tenuta il più possibile sotto silenzio, come tante altre che, forse, ancora non sono venute a galla.
Oggi la storia di Alan Turing è di dominio pubblico, ma nel 1954 nessuno ancora conosceva il ruolo fondamentale che questo matematico aveva avuto nel decifrare il sistema nazista Enigma, poiché il governo inglese aveva imposto il silenzio a tutti coloro che avevano lavorato al progetto. Turing, i cui studi del dopoguerra spaziarono in numerosi campi, pur essendo una mente geniale e uno studioso di spicco faticava a trovare un ambiente sociale accogliente e a sviluppare relazione interpersonali profonde.
Alan era omosessuale, condizione che aveva almeno pubblicamente dovuto celare per tutta la vita, e l’impossibilità di vivere alla luce del sole gli pesava terribilmente. Nel 1952 Turing aveva stretto una relazione con Arnold Murray, di 19 anni, un ragazzo della classe operaia che a volte si prostituiva per guadagnare qualche soldo. Ma con Alan il legame andava oltre l’aspetto economico; il ragazzo non voleva essere pagato ma talvolta rubava dei soldi dal portafoglio del matematico. Fu questo a portare Turing a sospettarlo di un furto avvenuto nella sua abitazione.
Ma invece di cercare il colpevole del furto, dopo aver ascoltato la denuncia di Alan, la polizia si presentò per arrestare lui e Arnold: l’accusa era atti osceni con altro uomo, regolata da una legge del 1885. Turing aveva ammesso agli agenti il suo orientamento sessuale, e così era diventato colpevole di aver reso pubblica la sua omosessualità e di averla vissuta, per di più con un membro di una classe inferiore.
Il caso “La Regina contro Turing e Murray” venne celebrato in tribunale il 31 marzo 1952 a Wilmslow. I due imputati si dichiararono colpevoli. Ad Alan il giudice offrì due alternative: il carcere o la castrazione chimica. Venne trattato come fosse responsabile di un crimine sessuale. Turing dovette quindi acquisire ormoni femminili per non finire in prigione, mentre lo scandalo del processo travolgeva la sua esistenza.
L'assunzione di estrogeni modificò sia il suo aspetto fisico che il suo stato psicologico: cadde in una profonda depressione mentre veniva socialmente marginalizzato e schernito. Il 7 giugno 1954 Alan Mathison Turing scelse di andarsene dando un morso ad una mela intrisa di cianuro. Sono dovuti passare più di cinquant’anni prima che il governo inglese, nel 2009, chiedesse scusa ufficialmente ad Alan Turing per quello che gli aveva fatto.
Paolo Secchiari, il padre, nacque a Gragnana, frazione di Carrara, nel 1865. Fin da giovanissimo si avvicinò alle idee anarchiche che, in quell’area della Lunigiana, si diffusero rapidamente tra i lavoratori del marmo. Lui, umile pastore, trasmise ai figli questi ideali e partecipò attivamente ai movimenti di lotta contro il governo Crispi che infiammarono la regione alla fine dell’Ottocento, venendo arrestato insieme ai fratelli. Da allora in poi Paolo sarà tenuto sotto osservazione dalle pubbliche autorità, ma gli anni peggiori inizieranno con la comparsa del fascismo sulla scena politica. Nel 1921 il circolo anarchico di Gragnana viene attaccato dai fascisti che picchiano numerose persone. Secchiari non si piega e così iniziano a perseguitarlo. Gli disperdono il gregge, gli gettano il latte e distruggono il formaggio. Poi il 6 agosto 1925 durante l’ennesima aggressione, i fascisti percuotono selvaggiamente anche sua moglie Giselda, che non si riprenderà mai dalle ferite riportate e morirà. Anche due dei suoi figli, Santino e Ceccardi, vennero uccisi in quegli anni: dopo l’ennesima violenza subita dai genitori, erano andati a vendicarli e avevano aggredito a coltellate uno dei fascisti che aveva picchiato la madre. Intercettati in due momenti dai carabinieri, saranno uccisi in scontri a fuoco. Dante, altro fratello, sarà invece incarcerato per diversi anni. Anche Silvia, loro sorella, subirà le conseguenze della sua fiera opposizione al fascismo. Malmenata ripetutamente dagli squadristi, rimase infine paralitica. Ma nonostante la disabilità non si piegò mai e continuò a manifestare i propri ideali, diventando un simbolo vivente di lotta. L’ultimo dei figli di Paolo Secchiari, Arturo, dopo l’Armistizio entrò nella Resistenza, all’interno della formazione Elio operante nella zona di Carrara e partecipò alla liberazione della città. Insieme a Dante, al padre e a Silvia sopravvisse alla guerra e al regime. Quest’ultima, seppur di umili origini e di basso grado di scolarizzazione, scriverà una toccante poesia per celebrare la fine del Ventennio, di cui qui riportiamo una parte.
"Credevano che il fascio fosse in eternità
E invece è un passaggio ch’è venuto e se ne va
Non ci sarà una testa che vi perdonerà
Le tante malefatte fino all’eternità."
Notizie e analisi sull'attualità e la geopolitica.
Last updated 4 months, 3 weeks ago
Ultimora.net - Le ultime notizie passano prima da qui ?
? twitter.com/ultimoranet
? @ultimora_network
? @ultimoragroup
? [email protected]
? @igilu ??? @lopao
ℹ️ In qualità di Affiliato Amazon, riceviamo un guadagno dagli acquisti idonei
Last updated 1 year, 8 months ago
CAUSA CENSURA FACEBOOK HO APERTO QUESTO CANALE
Non possono celare la verità🔥
Spam = Ban immediato
Propaganda Mainstream = Ban immediato
Propaganda Partiti = Ban immediato
Propaganda V_V = Ban immediato
Link Vendite = Ban immediato
Offese = Ban immediato
Last updated 1 year, 3 months ago